Il mio intervento conclusivo del 25 Aprile per l’ANPI a Laveno (VA) si è svolto con un cielo minaccioso, ma con un’aria di festa e con una fierezza pacata avvolta nei fazzoletti tricolore, per cui nessuno si è accorto che i rappresentanti dei partiti al governo o non c’erano o se ne erano andati rapidamente, come per togliersi un disturbo.
Tornato a casa sono stato rimpinzato dalla retorica di Berlusconi, ripreso da tutte le TV e sotto tutte le angolature e con un ridondare di caschi gialli a sottolineare il suo vegliare su di noi per tenerci lontani dai pericoli. Io, contrariamente al buonismo dilagante nei suoi confronti, penso che il pericolo continui ad essere la sua mancanza di sincerità e il suo esorbitante egocentrismo, per cui basterebbe una sua apparizione alla Festa della Liberazione per convincerci della sua fede antifascista.
Come mai questa parola – antifascismo – non è apparsa mai tra le righe del suo discorso calibratissimo e calcolato, mentre ad ogni paragrafo la parola libertà veniva sempre declinata preferibilmente al plurale?
Ma la Libertà con la maiuscola, conquistata con la lotta partigiana e condivisa da un popolo che si liberava dalla dittatura con uno slancio collettivo, avrebbe preso da allora un marchio indelebile, quello dell’antifascismo e della giustizia sociale. Perché non avrebbe dovuto dirlo, se il Premier avesse celebrato con sincerità il 25 Aprile ed una Costituzione fin qui non amata e definita in modo sprezzante “sovietica”?
Penso che agli Italiani si debba verità e non si possa giocare sui valori su cui si è giurato per rileggere la storia come se non ci fosse stata una guerra di liberazione ed un conflitto democratico in cui si sono misurati, contaminandosi e riconoscendosi l’un l’altro, comunisti socialisti e democristiani. E come se il dopoguerra fosse semplicemente un filo che da 64 anni si snoda verso l’approdo autoritario che il Cavaliere persegue con le sue televisioni e con scenografie e palcoscenici artificiali, lontano dalle piazze democraticamente e spontaneamente popolate.
Piazze in cui i bisogni e la critica della gente in carne ed ossa non si occultano con la stampa amica e vanno in diretta applausi, come per Scalfaro ed Epifani, o fischi, come per Formigoni a Milano (v. video).
La Resistenza costituisce una discontinuità nella storia del Paese proprio per la frattura non rimarginabile con il fascismo: una svolta che apre la strada dei diritti e dell’uguaglianza sociale. Liberazione, quindi, come cifra distintiva e non, semplicemente, il ritorno e l’approdo “alle libertà”.
Come ha detto Giorgio Bocca in una lettera al compianto presidente dell’ANPI Arrigo Boldrini, “prima gli operai ed i contadini erano ancora riconoscibili a vista dai loro vestiti, dalle periferie in cui abitavano e lavoravano, dal modo di parlare, di non leggere, di non scrivere”.
E’ questo riscatto che ci permette di considerare la Liberazione sempre meno un esito di uno scontro e sempre più un avvio di una storia unitaria, che oggi la destra riprova ad interrompere. La divisione di allora tra fascisti e antifascisti ha consentito oggi la piena espressione della propria libertà a tutti, anche a coloro che, ottusamente, si ostinano a pensare che il 25 Aprile sia una festa «di parte».
Giovanni
Caro Agostinelli, come ho scritto anche a Ferrero, il problema è quello della trasmissione dei valori della Resistenza. Come docente universitario devo spesso sopperire alle lacune di moltissimi dei miei studenti, e sono pochi con una coscienza civile. E devo parlare di valori comuni, civici e di democrazia continuamente nelle mie lezioni, che riguardano il design industriale. Quasi nessuno legge giornali o libri, quasi nessuno segue le cose interessanti su internet… un vuoto spaventoso, in cui ha facile gioco Berlusconi con le sue tv, che sono state create apposta per rintronare generazioni su generazioni di italiani… e anche la mia disciplina ne risente, generando progettisti superficiali e dediti al gadget più che alle qualità dei beni di consumo.