Fin dalle prime battute del Consiglio abbiamo avuto a cuore la pubblicizzazione del servizio idrico in tutte le sue fasi: captazione e proprietà delle reti, gestione, erogazione. Inizialmente la legge lombarda prevedeva partecipazione di privati nelle reti, separazione di gestione e erogazione e obbligo di gara privata per l’erogazione. Lontanissimi dall’integrazione dell’intero ciclo e dalla possibilità della sua gestione “in house” (come servizio a totale titolarietà pubblica amministrativamente dipendente dalle assemblee elettive dei comuni tra loro consorziati).
E’ stata l’iniziativa in consiglio e la partecipazione attiva a centinaia di assemblee sul territorio promosse dai comitati per l’acqua a creare le condizioni perché 144 sindaci facessero votare in consiglio la richiesta della piena ripubblicizzazione dell’acqua.
L’entrata in campo di 144 Sindaci, una continua mobilitazione e la posizione ferma tenuta dall’opposizione in Consiglio hanno portato al varo di una legge lombarda che apriva alla sperimentazione dell’in house e alla proprietà e gestione pubblica dell’intero ciclo dell’acqua.
La legge approvata all’unanimità dal Consiglio regionale apriva una strada praticabile all’unificazione di tutto il ciclo idrico, senza artificiali separazioni, e al ritorno del bene comune più prezioso nelle mani dei cittadini. Tuttavia, la Giunta lombarda ha cercato di mantenere in vita una posizione che favorisse comunque la privatizzazione, contando sulla sponda del Governo e sull’ultimo decreto Ronchi e, contemporaneamente spingendo per impedire l’in house negli ATO di nuova costituzione, fino ad una sentenza della Corte di Stato, che ha intimato il mantenimento di un servizio integrato in tutte le sue fasi.
Da una parte la sentenza della Corte ha reso impossibile mantenere in vita i piani d’ambito di Pavia, Como, Cremona, Varese, Lecco, Milano e Monza, previsti fin dall’inizio con l’obbligo illegittimo di separazione delle fasi di gestione ed erogazione. Dall’altra il Decreto del Governo ha bloccato le sperimentazioni in house. A fronte di ciò, l’assessore Buscemi ha solo balbettato, riconoscendo le difficoltà della Regione, ma rifiutandosi di assumere una presa di distanza dal governo.
La partita è tutt’ora aperta e la nostra pressione ha portato la Giunta chiamata in aula a sostenere un eventuale nuovo modello nazionale più vicino a quello adottato in Lombardia – così come proposto dall’Anci.