Mario Agostinelli
Dopo due legislature di sostanziale incrinatura del welfare come diritto, la Giunta Formigoni cerca di portare a compimento un disegno organico di devoluzione al privato anche nella scuola, in nome della sussidiarietà e del cosiddetto “primato della società sullo Stato”, come testimoniano gli oltre 40 milioni di euro stanziati nel 2006 per il buono scuola, solo per il 5% destinati alla scuola statale. Così, è stato aperto lo scontro molto duro sull’istruzione di cui trattiamo di seguito. Alla reazione immediata di Rifondazione Comunista ha risposto unitariamente tutta la sinistra, mentre si è registrata una totale sottovalutazione, fino alla connivenza, da parte di Margherita e DS regionali. Proprio l’estensione alla società lombarda della battaglia condotta in Consiglio (la CGIL ha preso una netta posizione contro il progetto di legge della Giunta di centrodestra) ha creato le premesse perché il Governo impugnasse per incostituzionalità la nuova legge lombarda 62/07.
Prima di entrare nei dettagli della vicenda specifica, mi preme inquadrare l’attacco all’istruzione e alla formazione nel percorso organico che da tempo ha imboccato il centrodestra lombardo.
Ancor troppo pochi, a mio giudizio, riflettono sulla decadenza del clima politico e sociale di una regione una volta trainante come la Lombardia, dopo che il suo patrimonio naturale, produttivo, sociale è stato intaccato pesantemente e portato al mercato dai governi di centrodestra. Tanto stabili quanto continuisti nel sostenere un modello distruttivo dell’universalità dei diritti e determinati a trasferire dal pubblico al privato i lasciti di un welfare efficiente e di una scuola pluralista e laica, picconando una solidissima tradizione di amministratori, funzionari e operatori aperti al mondo del lavoro, attenti al sociale e rivolti alla promozione di maggiore equità anche attraverso l’insegnamento, la ricerca, la diffusione delle conoscenze.
In fondo, Formigoni ha saputo sfruttare magistralmente l’indebolimento del patto costituzionale, che aveva accompagnato la crescita civile, morale, sociale ed economica della Lombardia, alleandosi con la Lega e avallandone le pulsioni peggiori con un po’ di compassionevole perdonismo cattolico, rafforzando così la base per inaugurare un governo pubblico antistatale, che sottende una ridistribuzione della sovranità ad una pluralità di soggetti privati.
Il vero background culturale dell’esecutivo regionale, cui attribuire il concetto di “welfare society” è indubbiamente la Compagnia delle Opere, una galassia di oltre 30.000 imprese e 1.000 organizzazioni no profit con 39 sedi in Italia e 13 delegazioni all’estero. Ma nel caso della scuola andiamo ben oltre, come manifestano le prese di posizione a favore di Formigoni di Confindustria, Confcommercio, Confartigianato e di varie lobbies interessate alla prospettiva che parole e principi quali pubblico, istituzioni, prestazione, diritto, lavoro, gratuità siano sostituiti da concetti quali privato, persona, libertà di scelta, sussidiarietà, impresa, voucher.
La peculiarità che si ritrova anche in questa legge impugnata dal Governo è quella della sussidiarietà e della solidarietà non gratuita, senza diritti imprescindibili, assicurati dallo stato in prima persona. L’intervento pubblico statale sopraggiunge solo quando manca o è insufficiente l’iniziativa privata e si rivendicano maggiori poteri e autonomia, purtroppo consentiti dalla riformulazione del titolo V della Costituzione, con lo scopo di affermare la propria ideologia in ogni campo del pubblico “non statale”.
E ora veniamo alla vicenda della legge 62/07 sul “Sistema educativo di istruzione e formazione”, approvata il 27 Luglio a scuole chiuse dal Consiglio Regionale della Lombardia. con il lasciapassare (astensione) dei D.S. e della Margherita lombardi.
Una legge che viene da lontano e ricopia nelle linee generali la Riforma Moratti, prevede un sistema di formazione e istruzione regionale contrapposto a quello statale e trasforma la scuola in un mercato dove viene meno il diritto allo studio.
Già in primavera Formigoni sfida il Governo e prepara il terreno per la sua legge. Nel mese di Maggio fa ricorso alla Corte costituzionale contro l’articolo 13 della legge Bersani 40/2007, che riassegna allo Stato la competenza sull’istruzione. Successivamente, lancia una campagna pubblicitaria enorme, dal titolo “Regione Lombardia: la nuova scuola prende forma”, spendendo 500mila euro del fondo sociale per propagandare la proposta di legge. Da subito abbiamo sostenuto la sua incostituzionalità, dato che tratta norme generali sull’istruzione (quali l’obbligo di istruzione, i piani di studio, le certificazioni, gli assetti del sistema di istruzione superiore), di competenza statale non trasferibile alle regioni.
In particolare la Regione Lombardia, giocando sull’ambiguità della riforma del titolo V della Costituzione, si è arrogata di:
1) definire un proprio “sistema di istruzione e di formazione”, indipendentemente dal sistema di istruzione dello Stato. All’art. 1 comma 2 si dichiara: “Per sistema di istruzione e formazione professionale s’intende l’insieme dei percorsi funzionali all’assolvimento del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione e all’obbligo di istruzione, nonché all’inserimento ed alla permanenza attiva nel mondo del lavoro e nel contesto sociale a livello europeo, nazionale e locale, alla crescita delle conoscenze e delle competenze lungo tutto l’arco della vita, alla promozione dello sviluppo professionale degli operatori delle istituzioni scolastiche e formative”. Da ciò risulta l’appropriazione da parte della Regione della competenza legislativa sull’istruzione obbligatoria, senza porsi limiti legislativi di inserimento, per qualunque aspetto del sistema educativo, formativo e di istruzione, in una prospettiva sia nazionale che europea.
2) ripristinare il doppio canale previsto dalla riforma Moratti: l’obbligo scolastico, portato a 16 anni dal Governo Prodi, può essere espletato attraverso una sorta di scuola di avviamento al lavoro dopo le medie, che include gli attuali istituti professionali, ma anche parte degli istituti tecnici.
3) introdurre la chiamata diretta dei docenti. Ogni scuola potrà assumere i docenti senza tenere conto delle graduatorie nazionali, consentendo modalità di assunzione clientelari. La Regione deciderà quale scuola finanziare attraverso il sistema di accreditamento, il buono per chi frequenta le scuole private e la quota capitaria per tutti. La scuola che riuscirà ad accaparrarsi più alunni avrà più soldi.
Di fatto viene pregiudicata l’unitarietà del sistema nazionale di istruzione: il sistema voluto da Formigoni confligge con il sistema nazionale.
In consiglio regionale, abbiamo lavorato molto e abbiamo preteso di sentire in commissione tutti i soggetti interessati. Quasi 90 le audizioni, concordi per evitare uno scontro con il Governo. Ma il centrodestra ha stretto i ranghi e il 27 Luglio solo Prc, Italia dei Valori e due «dissidenti Ds» hanno votato contro.
Abbiamo con fermezza proseguito il nostro lavoro in tutte le istanze istituzionali e oggi con soddisfazione possiamo dire che il Governo ha preso una posizione giusta e rigorosa: l’impugnativa non solleva semplici rilievi tecnici, ma profili di illegittimità costituzionale, da un lato, e, dall’altro, di contrasto con normative nazionali vigenti cui tutte le Regioni sono tenute a uniformarsi.
In attesa del pronunciamento della Corte il nostro impegno non cessa ed anzi conquista il consenso di tutta la sinistra, in difesa del diritto di tutti all’istruzione, in un sistema scolastico nazionale, pubblico laico e pluralista.
E’ decisivo che ora la mobilitazione sappia toccare incisivamente e con continuità il mondo della scuola e il mondo del lavoro. Con la speranza che le riflessioni di queste note contribuiscano a far vivere il risveglio e la riunificazione della sinistra come un processo di liberazione di energie solidali e di creatività sociale, purtroppo frequentemente frenati dal calcolo politico e da una rincorsa al centro disattenta perfino ai valori costituzionali.