Per l’Europa il risanamento delle finanze pubbliche, sotto la dettatura della BCE, è diventata l’unica priorità, a dispetto del lavoro e dei suoi diritti, dell’educazione, della lotta al cambiamento climatico e del progressivo abbandono del modello energetico centralizzato e alimentato da fonti fossili. E’ ormai certo che l’UE, in evidente deficit democratico e affidata all’asse Merkel-Sarkozy, mancherà gli obiettivi occupazionali fissati a Lisbona, non incrementerà del 3% rispetto al PIL la spesa in ricerca e tanto meno conseguirà al 2020 l’obiettivo di un aumento del 20% in efficienza energetica, né quello del 20% da fonti rinnovabili.
Obiettivi realistici fino a ieri, ma in allontanamento irreversibile se si seguiranno passivamente le istruzioni delle banche centrali . In sostanza, le ricette liberiste non solo non cureranno l’epidemia che hanno innescato, ma favoriranno ogni possibile resistenza al nuovo che, anche in campo energetico, potrebbe contribuire ad una uscita dal tunnel. Già, perché non va dimenticato che la speculazione ha concentrato il fuoco proprio su gas, petrolio e carbone e che il settore energetico multinazionale ha dato la stura alle operazioni finanziarie più spregiudicate all’origine della crisi in corso.
Proprio in questi giorni l’esecutivo Ue ha annunciato il suo piano per utilizzare 9 miliardi di € dal bilancio UE 2014-2020 per l’aggiornamento dell’infrastruttura energetica dell’Europa. Annusando l’aria, gran parte della cifra verrà destinata ai gasdotti dal Caspio e solo una parte residuale alle “smart grids”, all’immagazzinamento di energia elettrica e al trasporto di energia prodotta dai parchi eolici.
La distorsione a favore del gas è particolarmente evidente nei corridoi prioritari proposti (la maggior parte dei 12 progetti prioritari infrastrutturali sono stanziati per gasdotti e oleodotti), con quattro relativi al gas e solo uno interamente dedicato alla trasmissione di energia rinnovabile. Addirittura, esiste il timore che vengano assunti nel budget comunitario anche progetti di sequestro della CO2 da carbone (CCS). Se questa è l’evoluzione del quadro europeo, quello italiano si muove nella stessa direzione di contrasto al cambio di paradigma.
Nonostante (dati di fine estate 2011) la potenza totale degli impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili (FER) abbia superato i 30 GW (milioni di Kw); il 75% dei nuovi impianti entrati in servizio nel 2010 sia alimentato da FER; le FER abbiano prodotto energia elettrica pari a poco meno di 77 miliardi di chilowattora (una quantità sufficiente a coprire tutti i consumi domestici (69,5 TWh) più quelli del settore agricolo (5,6 TWh)), la politica energetica del governo ripropone il carbone e si riconcentra sul gas. Sui costi troppo alti del metano sul mercato italiano si discute da sempre, ma è evidente che il rialzo delle commodity energetiche è in gran parte effetto della speculazione da parte degli operatori del mondo della finanza, che si avvalgono di essi, così come di quelle agricole, per fare scommesse al fine di aumentare i loro guadagni.
Il sole invece non ha un prezzo e non si presta a questo gioco. Gli incentivi per il suo sviluppo vengono divisi in migliaia di impianti (710 milioni di euro la spesa totale 2010), tendono alla distribuzione, non alla concentrazione e costituiscono un investimento che si sottrae alla speculazione e ha come trade-off meno inquinamento e più occupazione per tutti. Certo il solare, come le altre fonti rinnovabili, non è equivalente alle fonti fossili. Implica un cambio di società e forse è questo che spaventa, perché va di pari passo con una mentalità incline alla misura, a non eccedere in consumi, a cooperare e a sentirsi parte di una biosfera che l’economia attuale sta minacciando.
Una economia che ha prodotto ingiustizia ambientale e sociale e che ora va messa in discussione nel suo complesso, proprio per uscire dalla crisi “dalla parte del 99% anziché dell’1%.”. C’è bisogno di una redistribuzione del reddito, di una fiscalità che recuperi risorse da chi le ha, di un taglio netto della spesa militare, di un grande piano casa per il recupero energetico del patrimonio edilizio, di meno auto e più trasporti collettivi, di un piano, infine, per una green economy per sganciarci dalle fonti fossili. E’ giunto il momento di rovesciare il tavolo del dibattito in corso. Si possono fare tutti i vertici dei G20 che si vogliono, alzare o abbassare i tassi, provare a ridurre il debito, ma fino a quando non cambieremo paradigma, a cominciare dall’energia, non ne usciremo.