Mario Agostinelli, Capogruppo consiglio regionale Sinistra Ecologia Libertà
(Articolo da Il Sole 24 Ore)
La distruzione del potenziale produttivo dell’Alfa Romeo di Arese e la dissipazione del suo patrimonio tecnico – scientifico – professionale – sociale e umano, sono emblematici della crisi di prospettiva in cui è entrata la Regione Lombardia, una volta “locomotiva trainante” del Paese, oggi sfiancata da una retorica dell’eccellenza che si ferma alla propaganda.
Il silenzio in cui si è consumata per anni “l’uccisione dell’Alfa” e lo spezzatino case e megacentro commerciale annunciato come “rilancio” dall’assessore Rossoni la settimana scorsa, fanno del negligente abbandono di un “topos” evocativo di eccellenza industriale mondiale un campanello d’allarme per il futuro. Ho avuto la sorte di occuparmi di Arese da segretario della CGIL Lombardia fino al 2000 e poi di coordinare sotto la supervisione di Rubbia un gruppo di 36 ricercatori dell’ENEA che ha fornito alla Giunta Regionale una road map credibile e documentata per il reinsediamento di 7000 posti di lavoro nei settori che oggi chiameremmo di green economy. Non un sogno, ma una analisi condivisa da imprese e centri di ricerca disponibili a costituire quel Polo della mobilità sostenibile che aveva convinto nel 1997 una enorme assemblea sindacale di 4500 operai e tecnici a cambiare passo rispetto alla difesa passiva del prodotto auto individuale già allora in difficoltà.
Purtroppo la Regione, gli interessi immobiliari e la stessa Fiat si sono di fatto alleati per affossare un anticipo di futuro, che l’analisi recente del Wuppertal Institute conferma come necessario per uscire alla crisi, come attesta nel 2009 lo sforzo del 10,8% di investimenti della Germania nei settori della sostenibilità, contro l’1,08% dell’Italia abbagliata dal nucleare.
Eppure si trattava di un progetto necessario alla Lombardia, in grado di coniugare politiche industriali, qualità della vita, occupazione, emergenza ambientale e impegno pubblico: altro che ecopass!
La decisione di cambiare prodotto, sostituendo ad una merce tradizionale un “obiettivo sociale” come la mobilità sostenibile ha suggerito un ridisegno sistemico del trasporto di persone e di merci. L’area di Arese sarebbe diventata l’epicentro di un progetto che si proponeva la costituzione di un distretto innovativo per il settore automotive e il re-insediamento di attività manifatturiere, collegate alla possibilità di riduzione dei volumi di traffico, alla riorganizzazione della logistica delle merci, alla produzione di veicoli a basso impatto ambientale, alimentati da idrogeno ed elettricità ottenuti da fonti rinnovabili e inizialmente favoriti nella loro diffusione da una politica pubblica delle amministrazioni in stretto rapporto con il loro cittadini e, infine, sostenuta dalla diffusione delle strutture adeguate al loro successo.
Ma le istituzioni lombarde e il sistema delle imprese non si sono resi conto che Il cambio radicale del sistema dei trasporti, ormai vicino al collasso, costituisce una delle sfide più impegnative del secolo appena avviato. Cominciare ad affrontare dal punto di vista politico sociale economico industriale la riprogettazione del sistema di mobilità ha un significato che tocca una dimensione essenziale dell’esistenza moderna e delle opportunità di riconversione produttiva.
Invece le campagne “ambientaliste” (leggi: marmitte catalizzatrici o contenimento delle polveri sottili) hanno scandito annunci, minacciato divieti e rincorso centraline sempre a valle, lasciando gli interventi strutturali a monte sempre e solo sulla carta. Il modello Formigoni, tutto orientato alla messa a valore commerciale del suolo e delle aree (ancora Brunelli!), proprio a partire da Arese dimostra la sua incapacità a occuparsi di green economy e di specializzazione produttiva.
Ora siamo alla fine. Il master plan di Infrastrutture SpA (una società della Regione che ha ricevuto per questa esercitazione sulla carta di un paio di mesi 20 volte la cifra stanziata per il piano dell’ENEA elaborato in due anni!) coniuga la parola sostenibilità in una chiave opposta a quella indicata dai lavoratori di Arese: si tratta banalmente di “gradevolezza del sito”, come contorno allo sviluppo commerciale e residenziale. L’area produttiva è lì, con soli 700.000 metriquadri su due milioni, vuota, senza progetto alcuno.
Un esito a nostro giudizio deprecabile, che rappresenta uno spreco inestimabile se traguardato nel medio lungo periodo. Ma, si sa, il ritorno elettorale non richiede di guardare lontano.