Forse non dobbiamo più stupirci se in un “regime leggero” le manifestazioni di piazza non fanno più notizia. Se per attirare l’attenzione della stampa i lavoratori che difendono i propri diritti devono salire sui tetti delle fabbriche. Se tre operai di Melfi reintegrati dal giudice devono appellarsi al Presidente della Repubblica per respingere l’umiliazione di essere mantenuti da chi li ha licenziati.
È allora possibile che, nell’epoca del berlusconiano “risorgimento nucleare”, 100mila persone che sfilano in corteo per dire il proprio “no” al nucleare siano resi invisibili all’opinione pubblica e considerati ininfluenti ai processi democratici per cui reclamano il diritto di partecipare.
Così è stato. Quanto accaduto sabato pomeriggio per le vie di Berlino, nella più imponente e creativa azione no nuke degli ultimi mesi, è stato ignorato dai quotidiani italiani, che sarebbero impazziti se solo un dimostrante avesse rotto una vetrina. Non sto parlando del servilismo scontato di Minzolini, ma della disattenzione non innocente dei grandi giornali che nella capitale tedesca hanno corrispondenti fissi e dell’oscuramento di tutte le TV, se si eccettua un richiamo sfuggente di Repubblica e l’inserimento estemporaneo di spezzoni di riprese nell’inchiesta di Iacona sulle scorie delle centrali tedesche.
Allora ho cominciato a pensare che l’affermazione del Cavaliere (“Nucleare? Convinceremo gli Italiani…”) abbia cominciato a funzionare già al presente. Perché l’evento berlinese, accompagnato da manifestazioni in tutta Europa in preparazione del raduno internazionale di Colmar del 3 ottobre, è di quelli da non dimenticare per niente. Dopo la decisione del governo Merkel di prolungare la vita delle centrali nucleari in media di 12 anni, la popolazione ha circondato la sede del Bundestag ed ha accumulato un enorme castello di bidoni di cartone con impresso il marchio radioattivo sotto le finestre del potere, bollando come “accanimento terapeutico” il favore reso alle lobbies dell’atomo. Chiaro che per il governo italiano il movimento d’oltralpe con il messaggio che il futuro del nucleare “è spento” non doveva proprio contaminare l’etere nostrano in cui torna ad andare in onda Porta a Porta, con le poltrone già pronte per ENEL, ENI, Prestigiacomo, Battaglia e Veronesi! I segnali di promozione dell’atomo e di rimozione di qualsiasi opposizione e critica sono eclatanti e coinvolgono molteplici attori, alcuni del tutto imprevisti.
Alcuni mesi fa le diocesi italiane (per fortuna non tutte) hanno infilato nei mensili distribuiti ai fedeli un opuscolo dell’ENEL in cui il papa benediceva il nucleare civile. Il Riformista ha pubblicato un appello di esperti, lobbisti, amministratori e decisori del PD per il ritorno dell’atomo “contro l’oscurantismo di un ambientalismo irresponsabile”. Il Corriere descrive almeno una volta ogni settimana la “conversione” di qualche oscuro scienziato verso i “reattori sicuri di nuova generazione”, così alle porte da avere indotto i possessori degli impianti datati di quarant’anni a prolungarne il funzionamento per un altro decennio.
L’offensiva sarà implacabile. E la dritta la dà un imponente (per soldi investiti nella ricerca e per potenza di fuoco immessa dalle istituzioni pro-nucleari) studio presentato all’ultimo Forum Ambrosetti di Cernobbio. “Il nucleare per l’economia, l’ambiente e lo sviluppo”, in oltre duecento pagine, celebra le magnificenze e le convenienze del nucleare con enfasi pari all’inconsistenza delle prove addotte. Debole e facilmente criticabile scientificamente, ma determinante per la creazione del consenso. Basta, per capirne la finalità e la destinazione, la composizione del “comitato guida” che ha ispirato la ricerca e le sue conclusioni.
Oltre ai massimi rappresentanti di EDF e ENEL, al responsabile del Ministero per lo Sviluppo (a guida Scajola-Berlusconi), all’authority (indipendente!) per l’energia, ci troviamo l’ineffabile professor Veronesi, Carlo Rossella di Medusa Film e fidato comunicatore del Cavaliere e Maurizio Lupi, inesperto di fusione atomica, ma uomo della Compagnia delle Opere di tutto rispetto. E basta, infine, leggere in testa al sommario della ricerca, piena di grafici e di schemi, che le parole chiave sono “bipartisan” e “creazione del consenso”. Su le maniche, ragazzi!