FIRENZE IL GIORNO PRIMA, Rivista QUALE STATO Novembre 2002, Mario Agostinelli
PREMESSA
Le nota che seguono sono state compilate prima dello svolgimento del Social Forum Europeo dal 6 al 10 Novembre a Firenze. Sono il frutto di un “patto†tra l’autore e la redazione della rivista con l’impegno a consegnarle tassativamente “al buio†nel pieno della campagna dei quotidiani e delle TV che, su pressione articolata del Governo e della destra toscana, hanno accettato di oscurare la portata creativa delle proposte politiche alternative con la sfiducia montata artificiosamente sulla capacitè dei manifestanti di lasciare intatta la cittè d’arte per eccellenza.
Queste riflessioni costituiscono per certi versi una scommessa che confida nella prevalenza al fine dei contenuti programmatici e del carattere propositivo dell’evento in sè rispetto alla volontè manifesta di ridurne gli esiti ad un episodio di ordine pubblico. Di conseguenza si propongono di illustrare quella parte del patrimonio del “movimento dei movimenti†meno nota all’opinione pubblica e piè sottovalutata dal mondo politico, costruita con un lavoro preparatorio puntuale, intenso, articolato e consapevole del pluralismo delle sue componenti, che rischia invero di essere sovrastato dall’assimilazione mediatiaca e dalle novitè nel dibattito politico che seguiranno ai giorni di discussione e alla manifestazione conclusiva.
Uno sguardo volutamente fissato sul prima, per consegnare alcune analisi oggi giè disponibili ad uno sviluppo che in futuro riguarderè un ambito piè vasto dell’attuale dinamica politica europea, finora non abbastanza informata e consapevole della portata dei rivolgimenti giè presenti all’interno della societè.
Chi ha partecipato alla costruzione in ambito continentale dell’appuntamento di Novembre ha potuto giè cogliere l’accelerazione positiva subita dalle realtè che danno vita ai social forum sul piano identitario e della contaminazione tra le diverse anime che vi concorrono.
Non c’è da stupirsi quindi se il Governo sta cercando di interrompere un percorso corposo di crescita e convergenza che riguarda anche grandi organizzazioni come quelle del lavoro e del volontariato, cercando di far precipitare il piè grande e duraturo fenomeno sociale di massa degli ultimi 30 anni sulle paure e sul richiamo conservatore che la sicurezza esercita sulle societè chiuse.
Le mistificazioni dei media conservatori
Per facilitare la operazione “da moviola†che ci siamo imposti onde fermare una situazione che al momento dell’uscita della rivista sarè superata dai fatti, vengono riportate le posizioni che sono state fissate dal Giornale il 3 Novembre 2002 sui fronti opposti della destra e del movimento.
La pesantezza di argomenti del quotidiano di Belpietro consente di scoprire la base su cui si è retta l’intesa tra molte testate giornalistiche e televisive (a partire dal Corriere e dalla Rai) per screditare l’appuntamento fiorentino e mistificarne la sostanza. Il trucco retorico di riportare per intera la posizione di alcuni “leaders no global†commentandole perè ferocemente nei titoli e nei riquadri di accompagnamento, dè bene l’idea dello scontro in atto e consiglierebbe di sfuggire alle insidie delle rappresentazioni mediatiche preconfezionate per manifestare la capacitè di attrazione di questo movimento sempre piè in virtè di quello che è e che fa realmente. In fondo, da quando la CGIL parla attraverso i fatti anche la sua capacitè di comunicazione risulta assai piè convincente.
Le tesi che il Giornale è interessato a far prevalere presso i suoi lettori si possono condensare in sette proposizioni: a) da Seattle in poi il Global Social Forum tiene banco solo per gli scontri e mai per le proprie idee; b) il movimento manifesta ma non sa quello che vuole; c) i manifestanti non sarebbero disponibili a denunciare i violenti; d) i no global hanno un pensiero debole e sono pronti a statalizzare il mondo; e) la globalizzazione è un fatto tecnologico e non la si puè nè combattere nè correggere; f) il welfare è un lusso dei paesi ricchi di cui non possono occuparsi le aziende in competizione: se si applicasse assieme ad altri diritti anche ai paesi emergenti li si renderebbe meno competitivi e si farebbe loro del male; g) l’allargamento del commercio mondiale porta la pace.
Si tratta, come si vede di tre pre-giudizi nel senso etimologico e di quattro banalitè piè da colonialismo che da globalizzazione di nuovo millennio. Eppure la formula ha avuto una sua efficacia perchè è sata messa in opposizione ad una posizione certamente piè nobile e solida concettualmente, ma altrettanto emozionale fino a quando non si concretizzerè in una piattaforma fatta propria da soggetti sociali con una loro rappresentanza ed obiettivi democraticamente definiti.
Oggi, prima di Firenze, per l’opinione pubblica si puè ancora costruire un diversivo quando si parla del movimento: quello del velleitarismo o dell’opposizione a priori o del timore di devastazioni del proprio ambiente identificato con la fonte ed il mantenimento di privilegi non trasferibili a tutti. E per il movimento la fase propositiva è limitata al successo di alcune campagne (la Tobin tax, l’azzeramento del debito, l’applicazione del protocollo di Kyoto, il prezzo dei medicinali anti-aids) e sollecitata dalle evidentii crisi del neoliberismo ( Argentina, Enron, licenziamenti di massa come alla Fiat).
Ma dopo lo svolgimento del Social Forum Europeo ci sarè un cambio di passo perchè credo che si realizzerènno un confronto e una presenza vasta e mai sperimentata prima in Europa, che mescoleranno generazioni, esperienze e culture sociali giè unificate dal rifiuto del neoliberismo e della guerra. Ma anche protese al superamento di una fase esclusivamente oppositiva per stabilire l’agenda e selezionare i temi delle proprie rivendicazioni.
L’operazione del Governo Berlusconi Fini Bossi
Si sapeva per esperienza che una ricchezza di confronto senza precedenti in Europa, propositivo e a piè voci, sarebbe potuto implodere per l’azione del Governo in un clima avvelenato di sospetto, tendente a separare l’evento dalla cittè e a derubricare a problema di ordine pubblico lèesercizio del diritto democratico al dissenso e alla proposta politica alternativa.
Anche prima delle grandi mobilitazioni della Cgil e dei metalmeccanici e dell’ultimo sciopero generale – tutti caratterizzati da imponenti prove di manifestazione pacifica del dissenso – erano piombati ai cancelli delle fabbriche solerti carabinieri e impudenti schedatori, pronti ad allarmare non certo le lavoratrici ed i lavoratori, ma una opinione pubblica invitata a disertare le piazze ed a giudicare i manovratori al potere solo attraverso gli schermi della Tv, da cui si è solo passivi e silenziosi spettatori. Nel caso del movimento che da Porto Alegre approda a Firenze puè forse apparire piè agevole occultare i contenuti del conflitto e paventare esiti perniciosi, seminando paura ed allarmismo creati ad arte.
Questa strategia ha lasciato increduli i membri non italiani del comitato di coordinamento del Forum che tendono, forse sbagliando, a considerare una anomalia berlusconiana una scelta credo no del tutto invisa ad altri governi europei.
Il danno comunque apportato al lavoro di scavo nelle proposte da portare al Forum è giè rilevante e sarebbe bene non adagiarsi sullo scampato pericolo della sospensione, perchè l’attenzione nei giorni precedenti l’avvio è stata talmente sradicata dalle ragioni per cui decine di migliaia di europei si troveranno a Firenze, che tutto l’interesse si orienterè sull’aspetto patologico dell’incidente possibile. Potrebbe anche essere un boomerang a nostro favore se lo svolgimento si materializzerè come spero in un evento di massa di ascolto, e di scambio. Una “fiera†nel senso delle grandi ricorrenze europee che caratterizzavano gli incontri di civiltè e di culture in Europa prima dell’avvento degli stati nazionali. Allora l’esito non previsto dal dibattito politico attardato sulle dimensioni nazionali potrebbe essere quello del principio di una ricostruzione dell’Europa dal basso.
Oggi è necessario prendere atto che l’attenzione del movimento si è fatta lucida e responsabile fino a darsi un servizio d’ordine perchè il suo primo obiettivo è di riportare all’opinione pubblica la questione vera che lo svolgimento del Forum pone: quella della necessitè politica, sociale, culturale di luoghi e contenuti per una azione di massa per una Europa diversa e possibile, che si batta nell’era della globalizzazione liberista per l’universalitè dei diritti ed il rifiuto della guerra.
E’ una domanda per una democrazia che non si consideri un ordine chiuso, ma un luogo di trasformazioni, in cui la cittadinanza comune è frutto di tensione anche conflittuale ed il cui spazio è garantito e non ostacolato dalla politica.
La societè non cresce in recinti e per negazione ed è stato apprezzato che gli amministratori di Firenze e della Toscana non abbiano risposto solo a sollecitazioni elettorali ed economiche di angusta prospettiva.
Il dialogo continuo e inclusivo dentro il movimento, tra tutte le sue anime, ha giè fatto crescere una irreversibile presa di distanza dalla violenza e abbia maturato la convinzione che alla protesta simbolica vada aggiunta la proposta e l’aiuto concreto.
Mentre ci si preoccupa dell’integritè di una cittè unica al mondo, negli stessi giorni il patrimonio artistico nazionale è “contabilizzato†come merce nella Finanziaria di Tremonti, le radici della convivenza inscritte nell’art. 11 della Costituzione sono infrante e ridiscusse fuori da ogni pubblica responsabilitè, la credibilitè del Parlamento è umiliata dagli interessi personali di un club privato e, in ambiti sovranazionali, le guerre per il petrolio si saldano al rifiuto di un accordo sul clima e, tanto per fare un esempio, la Convenzione europea si vede ostacolare la strada sul diritto di sciopero dal Governo di Blair.
Questa crisi profonda di partecipazione e di legittimazione democratica è stata invece affrontata in tutte le sue implicazioni dal lavoro di migliaia di riunioni del Social Forum in tutto il continente da un intrecciarsi di generazioni che ritornano in modo innovativo alla vita politica, anche se con cautela, e sono giè alla prova in associazioni, sindacati, reti di solidarietè.
A Firenze il messaggio in formazione è chiarissimo: si tratta della prima volta in cui l’Europa dei cittadini e della societè civile, quella del lavoro – saranno a Firenze tutti i segretari dei sindacati europei – e quella dei movimenti si danno appuntamento indipendentemente dall’agenda dei potenti, perchè ritengono di essere in grado di liberare non solo una forza di protesta, ma una energia propositiva con cui dovranno confrontarsi le forze politiche e le istituzioni che in Europa hanno avviato una fase costituente con scarsissima coinvolgimento democratico.
In un’Italia sempre piè distratta rispetto al quadro continentale ed in un’Europa tecnocratica che affida ad un distante ceto di politici professionali il compito di darle una Costituzione, il Forum Sociale porrè la questione ineliminabile della sovranitè popolare e della democrazia sociale in un sistema politico europeo considerato necessario alla luce ed in contrasto con la globalizzazione liberista.
E poichè i sistemi politici si sviluppano anche in contesti di guerra, la plausibilitè di un’Europa politica che respinge, a favore di un mondo unico e in pace, l’ipotesi di Bush, puè camminare se si regge anche sulle gambe e sul consenso attorno alle idee in discussione a Firenze.
Forse tutto questo è incomprensibile per Berlusconi e per la sua cultura aziendalista, irrispettosa dellèambiente sociale su cui si impone, che non viene percepito come risorsa, ma come turbativo di quel decisionismo che al consenso preferisce la prova di forza. Eè la stessa cultura che per il governo del mondo arriva a prevedere i vertici sulle Montagne Rocciose e, specularmente, vorrebbe che gli incontri e le manifestazioni dei governati si svolgessero in luoghi recintati. Una ègovernanceè del mondo lontano da esso e dalle piazze delle cittè, da secoli luoghi del confronto e del dialogo per eccellenza.
Purtroppo la sfida di Firenze corre il rischio di rimanere aperta anche se, come tutti ci auguriamo, dovesse dar vita ad un grande evento pacifico e democratico. Se infatti i contenuti ne uscissero sfuocati, se la gente che vi partecipa vivesse come in separazione dagli abitanti, avremmo tutti perso qualcosa e il disegno delle destre registrerebbe un punto a favore.
Non lo meriterebbe il movimento, ma avrebbero responsabilitè quei settori della politica – non solo quelli moderati – che hanno fin qui sottovalutato il portato di un sommovimento che si sta radicando nelle giovani generazioni e che ha bisogno di politica, ma non la trova sulla propria strada nelle forme e nei contenuti ampi ed adeguati di cui c’è bisogno.
In fondo, quando si agita la paura e l’emozione e si sceglie il terreno di scontro non di merito e diverso da quello su cui si dovrebbe svolgere, si mostra piè la propria debolezza che la propria forza.
Le discriminanti del movimento
Certo Firenze non sarè una passeggiata: accogliere i migranti e dare loro voce; discutere di diritti del lavoro nell’epoca della precarizzazione; chiedere legittimazione popolare per l’Europa che nasce; respingere la guerra permanente e preventiva; preservare il carattere pubblico dei beni primari come l’acqua, l’energia, la salute, l’educazione; riconvertire i sistemi di produzione e di consumo del pianeta; cercare sbocchi al fallimento a livello mondiale della democrazia rappresentativa, significa porsi in una prospettiva attiva lungo l’intero percorso locale-globale che articola e riunifica tante azioni conflittuali altrimenti disperse.
Ma il movimento ha fatto esperienze anche dopo Genova ed è cresciuto senza ritorno, dandosi un gruppo dirigente forse un poè irrituale che è in grado di fare battaglia politica fuori e dentro per creare le condizioni affinchè la violenza non intacchi il messaggio autentico delle sue manifestazioni.
Firenze non sarè piè solo un no. Da lè non uscirè ancora una piattaforma , una sintesi, ma di certo il Fse farè l’inventario ragionato delle proposte possibili,. Sarè una esposizione aperta, con decine di assemblee plenarie, di “finestreâ€, speakers, centinaia di seminari e workshops, gruppi e sottogruppi, dove ognuno mostra le sue proposte, le sottopone al giudizio degli altri, le scambia.
Un eccesso di offerta, forse, rispetto alla capacitè di ascolto. Dalla varietè dei temi e dai tantissimi incontri emergeranno comunque due fuochi: la pace ed i diritti del lavoro che sono l’oggetto di scontro in Europa, non solo in Italia. Il movimento si rende conto che per non ridurre i diritti a caritè, va data rappresentanza agli esclusi e che il lavoro privato di diritti è una delle forme di esclusione. C’è quindi contaminazione e comunicazione tra i sindacati e altre organizzazioni in tuute e due le direzioni. Cosè come il sindacato si accorge che per difendere i posti di lavoro, se quel lavoro produce ciè che non andrebbe prodotto, occorre anche una “conversioneâ€, parola cara a Alexander Langer. Dobbiamo cambiare i nostri comportamenti, difendere il lavoro, ma battersi per un modo diverso di vivere e consumare. E sarebbe oltremodo utile che la lotta in Italia per i contratti e l’estensione dell’articolo 18 trovasse il suo cortocircuito in questo movimento a livello europeo, perchè l’avanzamento del modello sociale andasse oltre la scatola senz’anima finora della Carta Sociale dei diritti fondamentali.
Il FSE è stato preparato da tre gruppi di lavoro: programma, organizzazione e allargamento. Questo ultimo ha fatto inclusione affinchè nel crogiolo del Social Forum fossero rappresentate nel modo piè bilanciato possibile le diverse anime del movimento e tutte le nazioni del continente, compresa la ex Yugoslavia, la Russia, la Romania, la Bulgaria dove le societè civili sono ancora in formazione.
Il forum sociale territoriale è invece il contenitore in cui vengono travasate esperienze- in genere comitati e mobilitazioni per l’ambiente – fatte nel territorio. L’iniziativa per costituirlo la prendono quasi sempre le persone che hanno tratto autorevolezza da quelle prove sul campo. Parlano degli scioperi e dei girotondi, ma raramente uno si qualifica come militante della CGIL o girotondino. La genesi per loro resta prevalentemente Genova. La municipalitè ed i bilanci partecipativi sono un tema molto sentito. Ci sono le associazioni come l’Arci e la Rete di Lilliput. Sono loro gli unici “professionisti†che incontro alle riunioni di paese. Poi, nelle cittè, si stabilisce talvolta il contatto con i centri sociali, che tendono tuttavia a distinguere la loro autonomia.
La mia sensazione è che preparando Firenze il movimento abbia formato dirigenti che non rompono con quelli precedenti. Ma che via via li sostituiranno o li affiancheranno. Ma sbaglierebbero i rappresentanti delle identitè che ora concorrono a coordinare il FSE a volersi considerare loro la guida e la mediazione per una sintesi di quanto accadrè a Firenze: sono piè vaste le esperienze individuali e collettive che vi si ritroveranno , molte con davanti percorsi davvero non rappresentabili in una proiezione di quanto i coordinatori hanno sintetizzato finora. Forse l’operazione piè necessaria da fare sarebbe quella di registrare i dibattiti, pubblicare sintesi dei seminari e puntualizzare un primo quadro analitico. Naturalmente bisognerè dare stabilitè alle reti in formazione e impulso alle campagne in atto.
L’Europa al centro
Ancor prima dei contenuti specifici della Carta dei diritti fondamentali proclamata a Nizza nel dicembre del 2001, i suoi limiti e i suoi punti di forza, il movimento dei social forum che si riunirè a Firenze affronterè in concreto una questione che è data per acquisita, ma dal cui approfondimento dipenderè la maggiore o minore convinzione con cui a fronte della globalizzazione liberista si collocherè nella specifica dimensione europea la lotta contro la guerra e per l’universalitè dei diritti.
La questione è questa: dove sta l’auspicabilitè di èunèaltra Europa possibileè come superamento dei vecchi contesti nazionali, visto che risulta irrilevante la questione di quale “identitè†e di quale “entitè socio politica†essa riveli, ma se ne dè per scontata la necessitè e la costituzione come terreno su cui si svolgeranno le battaglie del prossimo futuro? Come puè sentire un movimento che si articola ai livelli locale e globale una “voglia d’Europaâ€o, meglio, come puè concorre conflittualmente a definirne il percorso ed essere perciè interessato al dibattito sulla Carta di Nizza?
Il risultato del FSE potrebbe essere proprio questo: che l’Europa entrata per la finestra in modo confuso ne esca prepotentemente dalla porta principale.
Credo che l’11 Settembre sia una data decisiva anche per l’accelerazione di un bisogno d’Europa e di una sua definizione, almeno per negazione, rispetto al progetto statunitense di governo del mondo attraverso una supremazia istituzionalizzata a guerra preventiva. Un progetto che comporta come criterio fondante quello dellèesclusione e contrappone una visione morale (bene e male) alla politica, che nella tradizione europea, al contrario, persegue lèinclusione delle diversitè. In fondo, i progetti di costituzione politica sono eventi rari, che si accompagnano a grandi trasformazioni sociali, ma, talvolta, si sviluppano, in positivo o in negativo, in contesti di guerra: allora la presa di distanza dalla “national security strategy†di Bush sembra fornire ai popoli d’Europa un criterio di riconoscimento, almeno per negazione.
Ma si va facendo strada anche una affermazione in positivo dell’identitè europea ed essa prende il via dalla cultura politica dei diritti civili e sociali e della partecipazione che i popoli d’Europa hanno in comune e che travalica le comunitè linguistiche, culturali ed i valori laici e religiosi delle singole nazioni.
L’una e l’altra motivazione, quella in negativo e quella in positivo, hanno a che fare da vicino con le scelte del movimento che nel contesto della globalizzazione liberista, in forme radicali ed innovative, se non addirittura in rottura con la tradizione precedente, riscopre ex novo e con i suoi strumenti i grandi pilastri del lavoro e del ripudio della guerra, che hanno improntato le costituzioni antifasciste europee.
Naturalmente è mutato il lavoro ed è cambiato il contesto in cui si svolge la battaglia per la pace, si è esteso il campo dei diritti e ne è messa alla prova la tenuta universale e, di conseguenza, il rapporto tra movimenti ed istituzioni va riconsiderato e riattivato in profonditè, se si vuole creare una alternativa praticabile.
Infatti, di fronte ad un’Europa tecnocratica per la quale la presunta efficienza delle decisioni ha sostituito la democrazia anche nelle questioni politiche, la forza del movimento e la sua ricerca di una nuova partecipazione a tutti i livelli pongono il dito sulla piaga della attuale fase costituente dell’Europa: la mancanza di una fonte ultima di autoritè che legittimi i processi in corso.
Cosè il popolo nel reclamare lèesercizio della sua sovranitè, ha trovato in questo movimento una traduzione seppur parziale delle sue richieste in tema di bisogni, scelte e contenuti attraverso cui la societè riprende il sopravvento sull’economia . Eè questa la ragione non ultima del favore che hanno incontrato ed incontrano Porto Alegre, Genova, Firenze e la ragione non secondaria della loro demonizzazione da parte dei governi liberisti.
Se il movimento se ne farè carico consapevolmente, si apre quindi una nuova prospettiva, con cui dovrè fare i conti la Convenzione europea che nel 2004 si dovrè pronunciare sulla natura costituzionale dell’Unione, sia dal lato dei processi di legittimazione democratica, sia da quello delle garanzie individuali e collettive.
Se davvero ci si incamminerè verso una “costituzionalizzazione†dell’Europa – come sembra avvertire Giscard d’Estaing, presidente della Convenzione -i suoi cittadini, i suoi soggetti sociali, i movimenti, i partiti che ne arricchiscono il pluralismo politico e sociale, dovranno conoscere, discutere, modificare anche con la lotta, la direzione intrapresa.
Un’Europa basata sulla pace, sulla libertè personale e politica e sul riconoscimento dei diritti universali incrocerebbe necessariamente il movimento di Seattle, di Porto Alegre, di Genova, di Firenze.
In questa prospettiva, allora, è piè agevole riflettere sulla Carta di Nizza,
un insieme di 52 articoli che, se fosse recepito con una procedura democratica come corpus giuridico nella futura carta costituzionale, consentirebbe ai diritti fondamentali dellèUnione di sgorgare da un patto tra cittadini anzichè da un accordo tra Stati, con un salto indubbio della dimensione europea della cittadinanza e con il superamento delle posizioni attuali che fanno derivare gli obiettivi sociali dal libero mercato.
I capitoli entro cui si articola la Carta sono quelli delle libertè, dellèuguaglianza, della solidarietè,e dei diritti sociali, della cittadinanza europea, della giustizia.
Nonostante che le formulazioni degli articoli siano frequentemente cariche di ambiguitè, lèimpianto è sicuramente degno di grande attenzione, soprattutto per lèintroduzione del capitolo dei diritti sociali e se lèindivisibilitè dei diritti civili, sociali e politici e la loro applicazione universale su tutto il territorio dellèUnione costituiscono un capovolgimento certo rispetto allèindividualismo della costituzione degli Stati Uniti ed un punto di aggancio importante per le lotte dei migranti, il movimento se ne è fin qui poco occupato, con il rischio di cadere nell’unica prospettiva aperta a livello politico: recepire in toto o rifiutare in toto la Carta nella futura Costituzione. Credo che invece il movimento debba fare adesso la battaglia per migliorare la Carta, mettendola alla prova delle intuizioni e della piattaforma che va costruendo. Forse Firenze lancerè una giornata di lotta sui diritti sociali e del lavoro, data l’urgenza con cui la questione si sta ponendo.
In effetti, gli Stati Nazionali hanno mantenuto le potestè regolative in materia di diritti sociali, ma hanno perso il dominio delle risorse destinabili al loro soddisfacimento, che sono passate alla Banca Europea, alla Banca Mondiale, al FMI. Se il trasferimento allèEuropa del controllo delle risorse finanziarie è un fenomeno irreversibile, una lotta per un governo comunitario dei diritti sociali e per il loro avanzamento diventa dunque una scelta di drammatica urgenza, ma la Carta allo stato attuale non è in grado di risolvere in avanti queste questioni. Il rischio è quello di trovarci di fronte ad un attacco ai diritti da parte dei governi nazionali senza protezioni certe ed estese al livello europeo. La stessa questione dellèarticolo 18, che ha ricevuto sostegno imponente nel nostro Paese e che ha proposto la saldatura tra il movimento ed il mondo del lavoro, si colloca in questa incerta prospettiva.
Bisogna sottrarre il processo di costituzionalizzazione in corso al sequestro di una elite politica distante dai cittadini, dai soggetti sociali, dalle loro rappresentanze.
Anche per il Patto di stabilitè e per l’allargamento ad Est il movimento adotta un’ottica rovesciata rispetto a quella della Commissione. Prima il patto sociale, poi l’economia e la moneta. Ai paesi dell’Est si guarda non come ad una riserva di manodopera a basso costo e di consumatori aggiuntivi, ma come a popoli da includere in solidarietè ed uguaglianza.
La Politica
Sicuramente Firenze rivelerè il bisogno di politica di questo movimento.
Come si è piè volte detto, il movimento si avvia ad identificare punti per una piattaforma di cui le rappresentanze politiche non possono non tenere conto.
Non si tratta piè soltanto della ricostruzione di un orizzonte sociale e politico che è mancato ai partiti, ma dell’avanzamento di precisi punti programmatici discriminanti: migranti, diritti del lavoro, democrazia e partecipazione, accesso e mantenimento dei beni pubblici (acqua, energia, salute, educazione), riconversione dei sistemi di produzione e consumo.
Cosa significa questo passaggio di fase per il rilancio della politica come bene comune, se non sottrarla allèidea che essa debba rispondere esclusivamente agli interessi sociali ed economici della parte dominante della societè e che essa non possa considerarsi una delle tante occupazioni sul mercato?
E quali sono le implicazioni politico-istituzionali di una “piattaforma†del movimento, ancora da costruire come tale, ma giè in formazione a livello di una Europa che si ridefinisce di fronte alla globalizzazione e che è entrata in una fase costituente senza legittimazione e senza il riconoscimento di una sovranitè popolare?
La convenzione Europea, i partiti della sinistra europea, i movimenti, si possono rimettere in relazione anche conflittuale tra loro a partire da queste considerazioni?
Le rappresentanze politiche e le istituzioni sono le forze ed i luoghi necessari affinchè la politica intesa come bene comune possa raggiungere i suoi scopi. Ancor piè nel caso dei valori propri di una sinistra politica e sociale, che dovrebbe assumersi in pieno e costitutivamente l’obiettivo del bene comune, cercando di proporre una rifondazione radicale della attuale sfera politica, oggi quasi totalmente subalterna alla cultura del neoliberismo.
C’è, di fronte alla crisi dei partiti ed al deficit di democrazia delle istituzione europee, una spinta alla partecipazione che viene dal movimento ed un diffondersi di lotte sociali – ed in particolare nel mondo del lavoro – che favoriscono l’aggregazione di soggetti sociali in dimensione sovranazionale, ma che non hanno per ora allo stesso livello referenti politici o istituzionali adeguati e sufficientemente attenti.
Lo stesso movimento puè cadere cosè nella tentazione di esaurire un compito politico piè ampio all’interno soltanto delle sue forme di rappresentanza, senza rendersi conto o di venire relegato solo ad una azione di contestazione e di protesta oppure di venire invischiato in quella funzione concertativa che ha giustamente rigettato.
Questo movimento fa piazza pulita della politica bipartisan ed è in forte contrasto con la terza via che ha affascinato Blair D’alema e Clinton. Sente invece come propria la vittoria di Lula in Brasile che ha intercettato una proposta politica radicata nei movimenti sociali e antagonista al liberismo.
Ci sono due evidenti asimmetrie nell’incontro tra sinistra e movimento: una sta nella tendenza alla democrazia diretta ed alla partecipazione in forte contrasto con le teoria della governabilitè e con la scelta del sistema maggioritario che ha caratterizzato la lunga parentesi dagli anni ottanta ad oggi. L’altra nella convinzione che la crescita economica non equivalga allo sviluppo sociale e alla solidarietè con le future generazioni all’opposto del fondamento culturale con cui sono convissute le sinistre di tutto il mondo, con l’unica eccezione forse della coalizione “rosso-verde tedesca.
Comunque sia la lezione che dovremo trarre da Firenze anche sul versante politico non sarè di poco conto ed in discontinuitè con quanto i distratti ed i presuntuosi applicano alla loro agenda. Ma stavolta dovranno correre ai ripari perchè la rappresentanza non si trasmette per ereditè e non si compra per nulla : si conquista.