Da Formigoni una spinta alla devolution e un programma a discapito del welfare e del lavoro
Mario Agostinelli
Suggerirei ai giuristi, oltre che agli osservatori politici piè attenti, di leggere le 109 pagine del Piano Regionale di Sviluppo 2005-2010 con cui la Giunta Formigoni si è presentata al terzo Consiglio Regionale della Lombardia, dopo essere rimasta per cinque mesi asserragliata al Pirellone a contare poltrone e spartire favori fino al suggello dellèaccordo finale al cospetto di Berlusconi e Bossi nella villa di Arcore.
Sarebbe interessante poter valutare le possibilitè di successo dei contenuti di un documento programmatico che contiene le ambizioni nazionali di un leader locale che, nella Regione piè ricca e popolosa dèItalia, prova a forzare il patto sociale repubblicano fondato sul lavoro, introducendo di fatto nel funzionamento dellèIstituzione revisioni costituzionali profonde e probabilmente irreversibili, nella piè completa disattenzione della politica romana.
Sarebbe inoltre illuminante capire quanto le beghe in cui il èCelesteè si inzuppa coi Leghisti in concorrenza di poltrone, trovino soluzione non certo in ridefinizioni politico-programmatiche, ma nella spartizione dei crescenti interessi privati che la Regione favorisce a discapito del pubblico e sui cui le lobbies in competizione è a partire ovviamente dalla Compagnia delle Opere – si gettano a mani basse e al riparo dal controllo delle assemblee elettive, ormai svuotate di peso.
Penso che in Lombardia sia in corso un formidabile processo di ridefinizione dello stato sociale, del rapporto pubblico-privato e del sistema democratico-partecipativo, che verrè presto suggellato a colpi di maggioranza nel nuovo Statuto Regionale. Con un disegno insidioso: fare del sistema lombardo il punto di riferimento èbipartisanè per la politica nazionale anche nel caso di una vittoria del Centrosinistra nel 2006, allorquando, per correggere i guasti delle incursioni federaliste e devoluzioniste nella nostra Costituzione, si cercheranno soluzioni di compromesso comunque arretrate rispetto al dettato originale.
Proprio perchè lèipotesi è tuttèaltro che peregrina e trova qualche ascolto nellèampia area del èriformismoè milanese, provo a soffermarmi sulle trasformazioni piè inquietanti contenute nel Piano, che Formigoni ormai porta avanti con una azione organica e a tutto campo da oltre dieci anni e che costituiscono, di fatto, la nuova cornice istituzionale in cui opera la Lombardia.
Le tre parole ricorrenti in tutti i capitoli – sussidiarietè, partnerariato, libertè di scelta – sono il fulcro della ridefinizione di un rapporto con i cittadini che salta netto lèuniversalitè e lèesigibilitè dei diritti sociali, la centralitè del mondo del lavoro, il confronto con le rappresentanze politiche e sociali. In effetti il lavoro, la crisi occupazionale, il declino produttivo della Lombardia, non vengono nemmeno piè presi in considerazione. Il privato si fa pubblico e lo sostituisce attraverso accreditamenti clientelari e trasferimenti di risorse ai singoli fruitori di servizi; sparisce il sindacato, confuso tra mille èpartnersè soltanto da consultare; la salute, lèeducazione, perfino la ricerca sono messi sul mercato.
Il concetto chiave è quello della sussidiarietè orizzontale, propugnato perfino per la competitivitè industriale e per la tutela dellèambiente: una regola ideologica con poteri catartici, ma, tutto sommato, ridotta semplicemente a strumento giuridico per deresponsabilizzare il Pubblico come il soggetto a cui la collettivitè assegnava, attraverso lèimposizione fiscale, il compito di garantire per via politica i diritti, evitando lèintermediazione del mercato.
Il partnerariato, tanto declamato a destra come a sinistra, assume qui contorni e profili inediti. Da accordo preventivo e non obbligatorio sulle politiche, a strumento istituzionale in ragione della modifica sostanziale delle competenze delle istituzioni pubbliche, in primis del Consiglio regionale e delle sue Commissioni, ridotti a registratori passivi delle scelte della maggioranza e, non a caso, riuniti pochissime volte dalla loro nomina. In questo senso il partnerariato rappresenta lèicona dellèaffossamento della politica rappresentativa-partecipativa e delle sue istituzioni, ma anche il rifiuto di considerare il sindacato portatore di interessi in conflitto con quelli dei governanti.
La sussidiarietè diventa qui incredibilmente motore di competitivitè. Il ruolo pubblico si riduce ad accompagnare la transizione di tutto il sistema economico. Sostanzialmente, il pubblico rinuncia al suo ruolo storico di intermediazione degli interessi particolari, alla sua predilezione per il diritto del lavoro e, di conseguenza, di scelta degli indirizzi e degli orizzonti generali a cui piegare lèiniziativa economico-finanziaria del soggetto privato. è il sistema economico nel suo complesso a determinare i beni e i servizi da produrre per il mercato con il pubblico che puè, al massimo, rimuovere i vincoli di natura tecnica che impediscono il dispiegarsi della concorrenza.
Di conseguenza, lèeffetto principale della politica della Giunta Formigoni non è tanto e solo la privatizzazione, ma la parificazione giuridica tra privato e pubblico, con conseguenze pericolose nella erogazione dei beni di diritto (i beni comuni spariscono!) e sulla finanza pubblica regionale, giè provata dal debito pregresso della Lombardia, che, nonostante i marchingegni contabili utilizzati per smascherarlo, cresce a dismisura in ragione delle politiche adottate.
Ma, ci si dovrebbe domandare, come puè un modello cosè lontano dalla solidarietè e dallèeguaglianza, essere attrattivo per i cittadini e per i lavoratori lombardi?
Finora la ricchezza della Lombardia ha fatto scudo alla veritè. E una buona dose di ideologia ha sostenuto il progetto di Formigoni-Compagnia delle Opere, propugnando il binomio persona-comunitè come antidoto alla crisi del patto sociale che aveva dominato la fase dellèespansione fordista dei territori a piè massiccia espansione industriale.
Ma oggi i margini di confusione e di mistificazione si stanno impressionantemente riducendo. La convergenza tra Forza Italia e Lega sul primato dellèimpresa sul lavoro e sulla sbornia di privatizzazioni a danno della solidarietè è ormai alla frutta: il sistema lombardo divora risorse pubbliche e non è piè in grado di ricostruire sufficianti spazi redistributivi per accontentare le opposte clientele tra loro in competizione.
E dato che le privatizzazioni del centrodestra costano sempre di piè e divorano le risorse statali per i servizi sociali che la Finanziaria di Berlusconi ha tagliato per il 2006, Formigoni è ormai legato a doppia mandata alla Lega. Infatti a questa Giunta, per finanziare questa sanitè, ormai non basta piè nemmeno prelevare il 12% in piè dalle famiglie, come è avvenuto negli ultimi 10 anni. Eè dèobbligo invece appoggiare senza riserve la èdevolutionè bossiana per trattenere qui i 3, 7 miliardi di euro del fondo perequativo nazionale versati.
Il èriformismoè di Formigoni è cosè giè finito: in conflitto sulle poltrone di ASL e ospedali, ma, pur di fare cassa, a braccetto della Lega sulle riforme costituzionali imposte in questo finale di legislatura.
Allora è decisivo far leva sulla societè, sui lavoratori, sui giovani precarizzati e privati di futuro, sul bisogno e lèopportunitè di inclusione di oltre 400000 immigrati e sul ridare voce a quanti in Lombardia vogliono abitare, vivere, costruire un rapporto partecipato negli spazi pubblici da riconquistare e approfondire tra la gente il cuneo della crisi aperta e frettolosamente chiusa fuori dallèaula del Consiglio.
Eè questo il tentativo che stanno producendo una opposizione oggi meglio strutturata ed una societè viva, che ha ripreso a parlare e che libera energie promettenti anche per il rinnovamento della politica, come sta dimostrando con il Cantiere milanese.
Bisogna perè fare anche a sinistra un caso nazionale della deriva liberista propugnata dai governanti lombardi e riflettere sullèeffetto regressivo a tutto campo di una possibile vittoria del modello che qui ho cercato di illustrare. Un esito che sarebbe disastroso soprattutto se la Lombardia diventasse, nel balbettio e nel disinteresse delle opposizioni, un paradigma nazionale su cui si ricostruisce quel centro politico costituito da interessi materialissimi che Rossana Rossanda teme di veder crescere nella flebilitè delle risposte della sinistra politica.