Ieri sera tardi 6 OTTOBRE 2019 la terribile, lancinante e ferale notizia della scomparsa di Gabriella Sberviglieri, figura di sindcalista popolarissima nelle zone tessili di Varese, Busto, Gallarate. Generosa, dotata di intelligenza, determinazione e perfino di una creatività non comune. La contraddistingueva un intrinseco senso di classe che la sosteneva nel condurre ogni vertenza e la rendeva capace di concludere ogni trattativa con il risultato più plausibile per le assemblee che la ascoltavano con la sua voce un po’ roca e l’agitare della sua testa bionda. Stimata dalle controparti, per la schiettezza e la ricchezza del suo argomentare, profonda conoscitrice di ogni passaggio dell’organizzazione del lavoro, maestra di noi, teneri sindacalisti venuti dal ’68 e dal ’69, ma subito portati – come diceva lei in “zona”, a contatto delle buste paga, dei licenziamenti individuali, delle lamentele per le eccessive assegnazioni del macchinario e gli ambienti di lavoro insopportabili. Gabriella era talmente esperta nella contrattazione dell’organizzazione del lavoro sui filatoi, le roccatrici, i telai, nonché nell’innovazione tecnologica e nell’assegnazione dei turni lungo l’intera settimana, da essere protagonista delle prime conquiste di riduzione di orario fino a 32 ore settimanali pagate 40. Sergio Garavini – allora segretario generale – mi disse una volta di non conoscere una esperta al pari di Gabriella nella contrattazione delle assegnazioni dei cicli produttivi nel settore tessile e abbigliamento.
Io la ricordo un po’ come il suo “bocia” dopo l’uscita dal laboratorio di Ispra per entrare in CGIL, prima ad allestire le 150 ore in provincia e, poi, a seguire con lei il rinnovamento del gruppo dirigente tessile varesino, finalmente “invaso” da giovani e ragazze di primo pelo, entusiasti di appartenere ad una impresa di riscatto sociale così promettente. Grazie alla mia assunzione ai tessili, che lei aveva auspicato, era stato revocato il mio licenziamento nel settore ricerca, dove mi ero reso reo della costituzione del sindacato quando ancora non valeva lo Statuto dei lavoratori nel pubblico impiego.
Dal ‘75 cominciò la grande ristrutturazione del tessile cotoniero italiano ed il tentativo della dislocazione dei grandi opifici laddove costava meno il lavoro. Varese era un centro di grande rilievo per il settore. Conducemmo decine di vertenze nei grandi gruppi ed avemmo un buon successo esigendo investimenti innovativi su moduli continui anche al sabato e la domenica, ma individualmente ridotti nell’orario di lavoro, con organici sufficienti per coprire a parità di ritmi e carichi di lavoro i sabati e le domeniche, liberando tempo e mantenendo occupazione e salario.
Dopo la lunga esperienza di categoria, Gabriella passò in segreteria confederale, sempre con stessa grinta – razionalmente ragionevole, ma inflessibile – e portò a termine importantissimi accordi nella fase del più pesante decentramento manifatturiero nella provincia a maggiore densità industriale d’Italia.
Più avanti negli anni ricoprì ruoli istituzionali nelle commissioni di parità uomo-donna e tenne con autorevolezza riconosciuta la rappresentanza politica affidatale per difendere e promuovere intransigentemente le conquiste dei diritti delle donne.
Persona di straordinaria umanità, diretta ed essenziale (la ricordo sollecita e affettuosa sempre coi miei figli e nipoti, amica di Bruna, umile militante dell’Auser, colonna dell’ANPI).
Con Gabriella si assottiglia un certo mondo sindacale, corredato di una forte militanza politica e di altrettanto decisa autonomia, nonché dotato di un approfondimento scientifico-tecnico molto solido, maturato in esperienze dirette sul lavoro e nella contrattazione dentro i reparti. Mi ha sempre colpito la sua straordinaria modestia, il non voler apparire in prima fila: un comportamento forse suggerito dall’amore e dall’interesse per le radici locali (Busto, Varese, Gallarate, i Laghi), che l’hanno sempre dissuasa dal trasferirsi in luoghi a più alto riconoscimento. Ricordo che Garavini aveva spinto per un suo trasferimento nell’apparato nazionale, da lei declinato senza rimpianti.
Gabriella era la bionda della camera del lavoro di Busto su cui tutti potevano contare e da cui tutti potevano prendere consiglio. Quadro inossidabile del PCI, divenne critica nelle ultime vicende della sinistra: non per calcoli o pruriti da borghesi, a lei così estranei, ma per la sensazione di un declino delle istituzioni che lei difendeva, con un calo di rappresentanza cui non sono stati certo estranee anche le piroette estemporanee dei partiti popolari della sinistra destinati a dividersi all’infinito.
Il dono che Gabriella ci lascia, oltre ad una militanza indefessa e ad un rapporto di profonda condivisione e solidarietà umana, affettiva e politica col suo compagno di vita Franco – che non è poco di questi tempi – è una fiducia estrema nel riscatto delle istituzioni democratiche: un mondo ingannato dai partiti a cui Gabriella è rimasta leale fino in fondo, anche quando le ambizioni personali o la supponenza di qualche dirigente li rendeva meno affidabili: lei seduta sulle sgangherate poltroncine delle sedi sindacali di periferia, loro seduti sui banchi di velluto degli emicicli litigiosi o sulle sedie high tech dei talk show televisivi, dove si è contraffatto il legame insostituibile della rappresentanza e della sovranità popolare democratica.
L’augurio che possiamo scambiarci, ora, è che lei in qualche modo non ci lasci così soli per la sua dipartita e che, se ci darà un occhio da una qualche parte di un Universo che stiamo irresponsabilmente amalorando, ci doni ancora la sua straordinaria testimonianza di sete di giustizia e la sua saggezza di donna. Una vita – si dice – non finisce mai.
Mario Agostinelli