AGAPE, scuola estiva 2006: “Dalla teoria alla politica: scenari di decrescita”
LE RETI E IL RAPPORTO POSSIBILE TRA POLITICA ED ECONOMIA [1]
Davide Biolghini
Reti come modello di relazioni
Ci sono modalità diverse di proporre la costruzione delle reti[2]; per semplificare c’è chi considera le relazioni tra i nodi di una rete come elemento determinante per un’evoluzione “interattiva” e una crescita comune seppur differenziata dei nodi (approccio collaborativo di tipo sistemico[3]) e chi le vede come semplici canali di informazione tra nodi che rimangono legati alle proprie “way of life” (approccio “autocentrato” e competitivo). E’ la differenza che corre per esempio all’interno della “comunità scientifica” tra chi vede la rete tra i ricercatori come semplice scambio di “paper” sulle ricerche in corso (ognuno segue la sua strada cercando di essere il primo a raggiungere l’obiettivo…) e chi propone reti che permettano la progressiva condivisione delle conoscenze acquisite e la valorizzazione tramite la relazione interattiva dei risultati delle rispettive ricerche, per “vincere insieme” lo specifico agone scientifico..
Per superare questo tipo di dicotomia presente anche nell’evoluzione delle più significative reti sociali (come ad es. le Reti di Economia Solidale) può essere utile partire dalla definizione di quali “progetti federatori” possano avviare processi di cooperazione e di apprendimento collaborativo tra i diversi soggetti partecipanti, per poi porsi in corso d’opera la questione di come “autoorganizzarsi” e coordinare le varie relazioni di rete collegate al progetto. Le riflessioni teoriche sulle caratteristiche di tutte le reti (naturali ed umane)[4] ci dicono infatti, che è necessario fare i conti con le tendenze non “automaticamente” democratiche che regolano la vita e la crescita delle reti ed in particolare con la propensione di alcuni nodi a diventare “hub”, cioè a concentrare su di sé il maggior numero di relazioni: è quindi importante raffinare nella pratica le forme di autogoverno delle reti, gli organi di garanzia e di controllo e la progressiva definizione di nuove regole di funzionamento[5]; per raggiungere questi obiettivi si tratta in primo luogo di mettere in discussione le forme “tradizionali” di organizzazione e coordinamento.
Ad es. le Associazioni che spesso si costituiscono anche in rapporto con le Reti locali di economia Solidale dovrebbero essere al servizio dello sviluppo delle RES e non sostituirsi ad esse; c’è infatti il rischio che l’associazione diventi il tutto e la rete una sua parte subordinata (anche per il fatto che, chi scrive gli statuti delle associazioni tende a riproporre formule “standard”, che rafforzano poi i modelli di tipo gerarchico-funzionale tipici delle organizzazioni tradizionali).
Secondo alcuni autori[6] sarebbe necessario riconoscere più in generale che la fase dell’associazionismo politico in Italia ha concluso la sua parabola ascendente già da qualche tempo. E che anche le associazioni esistenti, se vogliono ottenere davvero gli obiettivi per cui sono nate, non possono che trasformarsi in qualcosa di nuovo che, seppur con modelli di riferimento ancora non consolidati, può chiamarsi rete.
Microspazi spazi pubblici ed economia alternativa
La questione principale che emerge dalle attuali esperienze di “economie alternative” per quanto riguarda il legame tra economia e politica sembra essere legata al come queste esperienze possono contribuire sia alla democratizzazione dell’economia, che ad un nuovo impegno “partecipato”, rispetto alla “cosa pubblica”, dei produttori e dei consumatori “critici”, in quanto cittadini.
Non essendoci nel nostro paese riflessioni significative su questo importante tema, richiamiamo quelle di alcuni gruppi di ricerca interdisciplinari[7], che in Francia, sotto l’egida del CNRS [M1] hanno di recente studiato le possibili relazioni tra economia solidale e spazi pubblici[8].
Alcune definizioni per cominciare…
Secondo i ricercatori francesi lo spazio pubblico sarebbe il luogo di legittimazione della politica (che quindi non si può ridurre al solo spazio istituzionale)[9], cioè una scena per agire la “cosa pubblica” (anche con visioni antagoniste del bene comune), sostituendo la comunicazione alla violenza politica[10].
L’altraeconomia viene invece definita come insieme di attività che contribuiscono alla democratizzazione dell’economia tramite l’impegno diretto dei cittadini, a partire da rapporti economici plurali (scambio mercantile, redistribuzione e reciprocità[11]) e da forme di proprietà plurali (privato, pubblico, socio-solidale). Essa propone inoltre un impulso di reciprocità negli spazi pubblici locali ed un argine all’estensione senza fine del mercato, in nome di un’altra mondializzazione basata su atti solidali quotidiani.
Le interazioni possibili tra politica ed economia
Le interazioni tra politica ed economia possono essere viste, secondo i ricercatori del CNRS, come un’articolazione tripolare delle dimensioni politiche (privato, pubblico e società civile) e di quelle economiche (mercato, redistribuzione, reciprocità), che stimola nuove domande sociali e la democrazia partecipativa, subordina le risorse di mercato a priorità solidali ed è resa possibile da risorse volontarie.
Le pratiche esistenti[12] mostrerebbero però come sia necessario intervenire contro i rischi di ridurre l’economia socio-solidale ad una forma filantropica, che interviene sugli effetti e non sulle cause delle differenze sociali e che aiuta a smantellare lo stato sociale con servizi meno cari ed impieghi precari[13]. A tal fine sarebbe necessario un nuovo tipo di spazio democratico, dove i cittadini riflettono insieme sul senso di produzione e consumo, discutono orientamenti economici che rispettino società, individui e natura e decidono collettivamente le loro scelte e i destini economici.
La democrazia plurale presuppone che nessuna democratizzazione della politica sia possibile senza una prospettiva di democratizzazione economica. Economia socio-solidale sul terreno “politico” significherebbe quindi un progetto “implicito” di società nuova, che a partire dall’aumento di povertà e discriminazioni anche nelle metropoli occidentali a causa della globalizzazione, propone di democratizzare l’economia di mercato internazionale, di sostenere l’economia dei territori, di legittimare l’economia non mercantile, di valorizzare gli scambi non monetari ed informali.
Cosa sono e cosa fanno le imprese socio-solidali
Le imprese socio-solidali portano con sé non solo risorse materiali non subordinate alla logica del profitto, ma anche la diffusione di norme etiche di appartenenza ad una comunità e l’apprendimento della cittadinanza attiva.
Per comprendere come ciò avviene bisognerebbe studiare le imprese socio-solidali ed analizzare il loro modo di funzionare, per verificare quali operazioni giustificano ciò che viene proposto come prodotto socio-solidale. Soprattutto sarebbe necessario costruire una “sociografia” degli attori implicati nelle imprese solidali, analizzando chi da forma ed organizza queste nuove pratiche socio-economiche e quale tipo di genesi e di risorse rende possibile queste operazioni: ad es. una logica militante e volontaria, o una riallocazione di risorse non impiegabili in altri campi di attività?
Infine si dovrebbero analizzare le forme di rete con cui si organizza l’economia socio-solidale; ad es. le reti Ecosol sono una sorta di movimenti sociali debolmente connessi senza regole prestabilite o organizzazioni solo in apparenza non gerarchiche e prive di un centro visibile?
Ciò significa analizzare le risorse primarie che circolano nelle reti, le modalità di intervento degli animatori e la loro legittimazione da parte degli altri membri, le relazioni al loro interno ma soprattutto con l’esterno, i riferimenti generali su cui gli attori solidali poggiano le loro scelte, la contraddizione tra le categorie di interesse “civico” (generale) e “concreto” (di singole parti) che emergono tra i membri della rete.
Spazi pubblici autonomi e spazi istituzionali
Gli spazi pubblici autonomi sono creati da azioni collettive per allargare la gamma delle interpretazioni possibili della realtà e degli interventi sulla società, la formazione delle volontà e delle opinioni, lo scontro tra gli interessi delle Parti.
Gli spazi istituzionali sono per lo più manipolati dai sistemi politici (i partiti) per riprodurre il potere.
Gli “spazi pubblici di economia socio-solidale” dovrebbero favorire la capacità autonoma degli attori direttamente interessati di definire i principi di giustizia che vengono applicati nella produzione e che rimandano ad un bene comune; essi dovrebbero permettere inoltre la costruzione di forme civiche di resistenza al sistema dominante, tra cui l’elaborazione dei saperi collettivi che decostruiscono i modi di privatizzazione del sapere e di controllo delle conoscenze.
L’economia solidale non è figlia solo della necessità, né del doppio fallimento di mercato e stato, ma anche resistenza allo stato ed al sistema economico per cambiarli.
La relazione tra spazio pubblico, politica ed economia (alternativa)
Lo spazio pubblico è policentrico, plurale, non postula l’omogeneità ma le differenze ed il dibattito.
L’economia socio-solidale non sostituisce lo stato con la società civile, ma combina la solidarietà basata sulla reciprocità con quella redistributiva tipica del settore istituzionale dell’economia, per rinforzare la capacità di auto-organizzazione della società a livello locale.
Nel passaggio però dalla gestione centralizzata a quella territoriale bisognerebbe evitare i rischi tipici dell’economia solidale e cioè la strumentalizzazione localista, la debole strutturazione sul piano nazionale e internazionale, il peso economico insufficiente, l’alleanza problematica con l’economia sociale.
Gli spazi pubblici dovrebbero essere luogo di mediazione di tutte le tre sfere, ovvero la società civile, il sistema economico, il sistema statale; la democrazia infatti entra in crisi se il potere politico si sottomette all’economia e se lo spazio pubblico nazionale si riduce solo a quello mediatico e quello locale alla “partecipazione” gestita dalle istituzioni.
[1] Si tratta della rielaborazione di alcune parti del saggio “Reti locali di economia solidale: possibili cantieri della decrescita?”, pubblicato in: Bonaiuti M. (a cura di), Obiettivo Decrescita, EMI 2005.
[2] Le diverse modalità di fare rete riguardano non solo le RES, ma anche altre esperienze analoghe a partire da quella di rete Lilliput.
[3] Secondo alcuni l’approccio di tipo sistemico richiama comunque modelli organizzativi con strutture/proprietà funzionali riferite alle singole parti, mentre le reti dovrebbero valorizzare le proprietà relazioni caratteristiche dei singoli link/maglie: il modello rete sarebbe quindi un superamento di quello sistemico.
[5] Cfr. D. Biolghini, Le RES e il senso politico delle reti , Atti della Scuola Estiva “Oltre il pensiero unico” Parco Nazionale Aspromonte, AFE 2004
[7] Dei gruppi di ricerca del CNRS citati fanno parte studiosi ed “attivisti” dell’economia solidale francese come J.L. Laville e L. Frasse.
[9] Secondo J.Habermas: “E’ tramite lo spazio pubblico che i cittadini si sentono non solo destinatari del diritto, ma anche autori del diritto”.
[10] Secondo H.Arendt: “E’ sullo spazio pubblico che gli attori politici si “mettono in scena” e che i problemi politici divengono visibili”.
[11] Si fa riferimento al modello di K. Polany che sosteneva come, in ogni organizzazione sociale, coesistono sempre diversi tipi di relazioni, dalle relazioni di scambio regolate dal mercato, alle relazioni redistributive regolate dallo stato ed infine alle relazioni di reciprocità regolate da altre forme di economia (ad es. del dono).
[12] Le nuove pratiche di altraeconomia richiamate nelle analisi dei critici della crescita senza fine (vedi ad es. l’ultimo libro “Pensare la decrescita” di P.Cacciari) sono per la gran parte riferite alla “economia solidale” (RES, GAS, BdG, CES, Finanza Etica, ecc.); useremo d’ora in poi il termine di economia socio-solidale (per comprendere anche le forme di economia sociale che sono rimaste immuni dalla “deriva aziendalista”) o di “economia alternativa” per comprendere anche le imprese “profit” che propongono modelli economici “altri” anche in settori più tradizionali (free software, eco-agricoltura , energie rinnovabili, ecc.).