Se proviamo ad elencare i mali del presente potremmo dedurne che raramente il mondo è stato in così grandi ambasce. In compenso, la nostra stampa e le TV ci offrono ad ogni lettura, ad ogni telegiornale e ad ogni talkshow – con gli stessi giornalisti-cloni sempre immancabilmente presenti – sceneggiate da pollaio locale. I governanti (e la stampa, che ne tiene in vita l’immagine più irritante) hanno una grande responsabilità nell’allargare il solco con i governati, incollati ad un presente che si reitera senza scosse giorno dopo giorno e straniati da un futuro che possiamo toccare con mano ma che non ci vediamo proiettato in tempo reale sui nostri innumerevoli “devices”, a meno di clamorose fiammate della durata di poche ore.
Ben altra e assai precaria è l’instabilità che riguarda la specie umana e il Pianeta che ci siamo abituati a interpretare come erede di vecchi equilibri, confini, stadi naturali, immodificabilità della biosfera che circonda le nostre persone sempre più esposte alla competizione anziché alla cooperazione per sopravvivere. Uscendo dal pollaio nazionale, provo qui ad elencare senza pretesa di completezza alcune delle emergenze che, anche quando non le prendiamo seriamente in considerazione, ci piovono addosso tutte insieme fin troppo presto per farne oggetto di una presa di coscienza, di una elaborazione e, di conseguenza, di discussione e decisione democratica preventiva in grado di affrontarle e, faticosamente, risolverle anche con la rivalutazione della tanto deprecata politica. L’elenco, assolutamente incompleto anche per ragioni si spazio, è impressionante e lo riporto in estrema sintesi
- L’accelerazione della crisi climatica è brusca e ormai irreversibile. La temperatura rilevata in una base argentina della Penisola Antartica giovedì 6 febbraio è la più alta registrata nelle terre continentali, isole escluse. Supera la temperatura già eccezionale del febbraio italiano. I cambiamenti climatici dell’Artide influenzerebbero l’Antartide su due livelli: uno più rapido, tramite l’atmosfera, e un altro più graduale, sfruttando le acque oceaniche. Intanto si continua ad esercitare un’influenza crescente sul clima e sulla variazione della temperatura terrestre in particolare attraverso attività quali essenzialmente: la combustione di combustibili fossili; la deforestazione; l’allevamento del bestiame
- A fronte di un populismo e autoritarismo dilagante, l’insoddisfazione per la democrazia raggiunge il massimo storico. Un nuovo rapporto del Centro per il futuro della democrazia recentemente istituito presso l’Università di Cambridge ha riscontrato che l’insoddisfazione per la democrazia ha raggiunto il massimo mondiale di tutti i tempi. Le democrazie in stile Westminster (Regno Unito, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti) in genere si comportano in modo particolarmente negativo in termini di fede democratica, con la percentuale di cittadini insoddisfatti delle prestazioni della loro democrazia raddoppiata dagli anni ’90. Nel Regno Unito, questa percentuale è aumentata di circa un quinto da allora. La soddisfazione nei confronti della democrazia è inferiore nei sistemi maggioritari” dove il vincitore prende tutto e si contribuisce alla polarizzazione e al tribalismo, rendendo i cittadini meno disposti a scendere a compromessi e ad accettare il mandato di partiti o punti di vista politici rivali.
- Solo il 16% del pubblico nel Regno Unito ritiene che la politica stia funzionando bene e solo il 2% ritiene di avere un’influenza significativa sul processo decisionale. Perfino nel santuario del maggioritario si auspica una rappresentanza proporzionale. Qui in Italia non c’è passo avanti verso l’avvicinamento della politica alle persone per favorire il coinvolgimento dei cittadini dal basso verso l’alto a livello locale e per garantire la fiducia nella nostra democrazia. Le assemblee dei cittadini dovrebbero essere utilizzate a livello locale in modo sistematico e integrato per affrontare questioni complesse e contestate. Qualcuno sa alcunché di come viene formulato e attuato il nuovo Piano Energetico Nazionale e quali siano gli obbiettivi in emissioni di CO2 dopo Parigi o di quante armi sono state vendute all’Arabia o Israele in questi mesi?
- La nostalgia di frontiere che ha fatto vincere Trump e la Brexit, per l’economista Thomas Piketty su Le Monde, segna la sconfitta di reaganismo e thatcherismo dopo decenni di globalizzazione galoppante. Ma se è vero, a suo avviso, che il liberismo ha tradito le sue promesse di più ricchezza per tutti, è altrettanto vero che Trump, Boris Johnson e compagni indirizzano la rabbia dei cittadini delusi verso bersagli sbagliati, che siano i lavoratori messicani o gli idraulici polacchi. In mancanza di discorsi alternativi più convincenti, quello nazionalista-liberale appare spesso agli elettori come la sola risposta nuova e credibile al loro disagio e non soltanto nel mondo anglosassone, visto che «la tentazione identitaria e xenofoba esiste un po’ dappertutto, in Italia e in Europa dell’est, in Brasile o in India», per non parlare della Germania tentata dall’apertura della diga anti AfD (vedi Turingia) o della Francia «dell’isteria arabofoba». Se i nazionalisti identitari se la prendono con la libera circolazione delle persone, il social-federalismo deve invece prendersela con quella dei capitali e «con l’impunità fiscale dei più ricchi». E, in attesa che i trattati europei e internazionali vengano riscritti in tal senso, si potrebbero penalizzare le importazioni da Paesi e imprese che praticano il dumping fiscale.
- Annegret Kramp-Karrenbauer, erede designata di Angela Merkel, annuncia che non si candiderà alla cancelleria per le elezioni del 2021 e lascia la presidenza della Cdu. La decisione dopo il terremoto politico in Turingia. La notizia, trapelata da una fonte vicina al partito e poi confermata dalla diretta interessata, ha la potenza di una detonazione sulla scena politica tedesca. La decisione di AKK, arriva infatti nel bel mezzo di una bufera politica esplosa la scorsa settimana, quando i delegati locali della Cdu in Turingia hanno votato con la formazione di estrema destra Alternativa per la Germania (AfD) per eleggere il presidente della regione, il liberale Thomas Kemmerich. Eletta al congresso del partito nel dicembre 2018, AKK non è una principiante: come spesso accade in Germania, ha iniziato a fare politica da giovanissima, militando nelle file della Cdu, ed è cresciuta con incarichi prima locali, poi regionali, approdando infine sulla scena nazionale. In poco più di un anno, tuttavia, la sua leadership non è mai apparsa veramente stabile e in diverse occasioni è stata criticata anche dai colleghi di partito. Il risultato è che la CDU, un monumento di stabilità in tutto il dopoguerra è sempre più divisa e incontrollabile e, allo stato, non c’è un dopo Merkel: un ulteriore problema per l’Europa, dopo la Brexit e le difficoltà sulle pensioni e sul gasolio di Macron.
- Come si svolgerà in condizioni di indebolimento dei partner e in tempo di recessione diffusa il dibattito sull’immigrazione e sul rigore dei conti, cruciale per i rapporti tra Germania, Ue e Italia, con l’inizio del semestre di presidenza tedesca dell’UE alle porte (1 luglio 2020)? Nonostante la quarantena messa in atto dai partiti tradizionali, l’AfD è riuscita a provocare una crisi nella Cdu, come non se ne vedevano da tempo. La vicenda della Turingia ha svelato che il re è nudo. L’assenza di una leadership forte nel partito di Angela Merkel è una questione nodale per il futuro della stabilità tedesca. Il rischio, anche alla luce della lenta ma costante emorragia di consensi, è una crisi partitica senza precedenti nella storia recente del paese”.
- Il Belgio è il quarto stato dell’UE più colpito dalla Brexit dal punto di vista economico – dietro Irlanda e Malta – e i suoi settori alimentari e bevande, amministrazione e tessili sono i più vulnerabili alle perdite di posti di lavoro legate alla Brexit. Ma il Belgio quanto conta, ora che è privo di miniere, di colonie, di identità etnica ed è, nonostante tutto, al centro geografico e politico di un continente in crisi?
- Le elezioni generali dell’Irlanda durante il fine settimana hanno segnato un momento fondamentale nella storia politica del paese, ma i maggiori vincitori, Sinn Féin, potrebbero non prendere nemmeno parte al prossimo governo. Il partito un tempo ostracizzato ed emarginato ha sfondato le file storiche del duopolio politico irlandese per diventare la più grande forza elettorale. Tuttavia, l’outfit nazionalista ha schierato solo 42 candidati per i 159 seggi offerti, quindi la loro rappresentanza nel Dáil sarà notevolmente ridotta. In una ripresa senza precedenti del sostegno, Sinn Féin ha portato a casa il 24,5% dei voti, superando Fianna Fáil, guidata da Micheál Martin, che ha ottenuto il 22,2%, e portando al terzo posto il Fine Gael di Leo Varadkar. L’allocazione dei seggi nel parlamento irlandese richiederà probabilmente diversi giorni per mappare, ma Sinn Féin ora otterrà probabilmente circa 40 seggi nel nuovo parlamento. La domanda che emerge dal back-catalog politico di Sinn Fein è questa: in che misura il partito nutre ancora quegli stessi sentimenti che li hanno portati a sostenere il conflitto armato per la causa dell’unificazione irlandese? Guardando i risultati elettorali di questo fine settimana, saresti molto indeciso a sostenere qualcosa di diverso da quello che una rivoluzione (pacifica) politica è attualmente in atto in Irlanda. Ma al di là del gioco degli equilibri politici il successo inaspettato non proviene dalla vecchia tradizione: il Sinn Fein si è occupato della carenza di alloggi, dell’aumento dei costi di affitto e dei senzatetto: campi in cui il passato di Fine Gael è stato tristemente esposto in passato.
- L’immagine pubblica della NATO in Francia, Germania e Stati Uniti è peggiorata bruscamente dopo che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il presidente francese Emmanuel Macron hanno messo in dubbio il valore dell’alleanza occidentale.
- L’epidemia di coronavirus potrebbe diffondersi a circa i due terzi della popolazione mondiale a meno che non vengano messi in atto controlli adeguati. Ma mentre l’Europa sta intensificando gli sforzi per combattere la diffusione del virus, c’è un continente che è stato assente dalla conversazione. L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha espresso la sua preoccupazione per il peggioramento dell’epidemia fuori dalla Cina e la diffusione del virus nei paesi con sistemi sanitari più deboli. Ma la domanda è: l’OMS ha preso in considerazione l’impatto di un’epidemia di coronavirus su larga scala in Africa? La possibilità che il coronavirus raggiunga l’Africa è motivo di preoccupazione per Bruxelles, soprattutto in considerazione della stretta relazione dell’Africa con la Cina. Secondo i media statali cinesi, si stima che oltre un milione di lavoratori e imprenditori cinesi vivano nel continente e l’Africa ha i sistemi sanitari più fragili a livello globale
Difficile trarre conclusioni, se non constatando l’inadeguatezza delle risposte in campo. Mi sembra che forse solo Francesco, il papa, abbia una narrazione adeguata alla estrema fragilità di un Pianeta non curato da chi l’ha abitato fin qui con presunzione. Il tempo viene a mancare e allora tutti i fili d’erba sparpagliati in giro senza collegamenti e radici intrecciate sarebbe bene che venissero raccolti in un unico mazzo: sono molti gli sforzi in atto, ma ancora non hanno il profumo che dovrebbe stordire. A sinistra c’è un’esplosione di fioriture, ancorché assai sparse… Mettiamole insieme: i contenuti ci sono, la forma è ancora in discussione.