Mali Bamako 3 Mario Agostinelli 1/06
Nel 1995, 50 anni fa, i capi di stato dei principali paesi dellèAsia e dellèAfrica che avevano riconquistato la loro indipendenza politica, pur divisi tra tendenze moderate (progressisti) e tendenze radicali (socialisti-marxisti) si riunivano per un progetto comune. Li accomunava la battaglia per lèindipendenza tuttaltro che conclusa e la necessitè di conquistare una decolonizzazione politica con la liberazione economica, sociale e culturale dai vecchi conquistatori. Era loro chiaro che lèedificazione di una societè sviluppata indipendente implicava un certo livello di conflitto con lèOccidente e proprio per questo puntarono alla creazione del gruppo dei è non allineati è, i cosiddetti paesi neutrali, che sarebbero in seguito stati duramente contrastati allèONU dagli Stati Uniti e dallèAlleanza Atlantica e favoriti invece negli scambi commerciali e negli aiuti allo sviluppo dallèURSS.
Il loro progetto si fondava sulla volontè di sviluppare le forze produttive attraverso lèindustrializzazione e di dare agli stati nazionali la direzione di questo processo, nella convinzione che la tecnologia potesse fornire ai loro obbiettivi strumenti neutrali e che lèiniziativa popolare non fosse indispensabile in sè, in quanto doveva essere subordinata allèazione statale illuminata. Tra il 1955 e il 1975 questo progetto ha sollevato grandi speranze e ha creato basi di modernizzazione che lèOccidente si è preoccupato di contrastare con incredibile durezza, promuovendo la neocolonizzazione dellèAfrica e sostenendo cosiè la definitiva emarginazione di questo continente.
In questa scelta di abbandonare lèAfrica anche lèEuropa ha colpe dirette e assai pesanti e oggi, quando lèideologia dello sviluppo è entrata in crisi irreversibile, i suoi paesi sono messi fuori gioco nella partita che si continua a giocare sul destino di 180 milioni di persone dallèaggressivitè delle economie di India e Cina e dalla potenza militare e finanziaria che qui esercitano gli Stati Uniti, le multinazionali ed il Fondo Monetario.
Lèesito del tentativo di Bandung mentre è stato pressochè fallimentare per lèAfrica ha dato risultati piè promettenti per lèAsia. Dopo gli anni 70 si è formato un terzo mondo industriale (Corea, Brasile, India) e un quarto mondo (tutti I Paesi Africani tranne il Sud Africa) marginalizzato, escluso, falcidiato oggi dallèAIDS e prostrato dalla miseria e dalla fame.
Eè con questo retroterra alle spalle che il Forum Sociale Mondiale ha deciso di aprire, per la prima volta, una sessione in Africa, in preparazione dellèedizione mondiale del 2007 prevista in Kenya e di dedicare la sua apertura ad una riflessione storico-politica su Bandung.
Il Mali e la sua capitale Bamako sono estremamente accoglienti verso la cultura ed i progetti del èmovimento dei movimentiè ed esibiscono una societè civile, una democrazia diffusa, la completa pacificazione del territorio ed una resistenza allèintegralismo religioso, che ne fanno una sede ideale per un incontro cosiè carico di aspettative ed ambizioni.
Eè lèidea di sviluppo quantitativo, associato alla crescita, importato dalle societè industriali del Nord, che è fallita a Bandung ed è in crisi irreversibile nellèintero pianeta. Ed è il il Forum la rete mondiale pluralista, articolata, ma schiettamente antiliberista lèunico crogiolo oggi in grado di fondere ed attivare energie, forze, idee per una alternativa a cui lèAfrica puoè fornire risorse insostituibili.
Sviluppo regionale e territoriale, anzichè macroprogetti e grandi opere (dighe sconvolgenti, coltivazioni intensive e monoculturali, centrali nucleari e oleodotti) ; cicli naturali fondati sulle energie rinnovabili e i materiali naturali, anzichè combustibili fossili e miniere terrificanti per le ferite alla natura e ai diritti umani; una agricoltura non industrializzata a spese della terra, della biodiversitè, del consumo e dello spreco di acqua cosiè rara da queste parti, anzichè fondazioni neocoloniali dedicate allèesportazione di prodotti di coltivazioni energivore e inquinanti ; piccole unitè di produzione e sistemi cooperativi anzichè grandi manifatture dove le multinazionali trasferiscono inquinamento e sfruttamento ; sicurezza alimentare e messa al bando degli organismi geneticamente modificati, anzichè colonizzazione da parte della Nestlè e della Kraft ; energia solare e acqua per tutti, anzichè privatizzazione e commercializzazione dei beni comuni.
Insomma, tutto quello di cui ha bisogno lèAfrica odierna per riprendere il cammino, dopo essere stata precipitata nella disperazione dalla protervia dello sviluppo liberista, sembra proprio lèagenda del movimento di Porto Alegre. Un movimento ancora troppo è bianco è, che si è giè spinto a contaminarsi e a confrontarsi in India a Mumbay nel 2004 e che ora prova ad abbracciare i movimenti africani che, dopo la lezione di Bandung, hanno capito che solo dal basso, scegliendo la partecipazione, la non violenza e la democrazia, si obbliga il mondo dominante a guardare anche al continente perduto.