Mario Agostinelli, Liberazione
Da non iscritto non ho titolo per partecipare direttamente al dibattito congressuale in corso. Inoltre, provo una certa fatica a scrivere parole che rimbalzano sempre fra gli stessi destinatari, mentre intorno si fa un vuoto che noi contribuiamo ad alimentare. Dico noi perché le lettere che vengono pubblicate da Liberazione e quelle che annoto al mio indirizzo di posta elettronica si richiamano spesso ad una comunità politica che sta implodendo e di cui mi sento parte, da quando Rifondazione ha deciso di uscire da una consolatoria autoreferenzialità. Partecipe non solo perché vivo l’esperienza inusuale di capogruppo non tesserato in Consiglio Regionale, ma perché questa gratuita apertura di credito è stata condivisa fin qui dal partito come prospettiva strategica ed ho vissuto la breve esperienza di Sinistra Europea come il luogo in cui anche Unaltralombardia – un tentativo tutt’ora vivo di avvicinamento tra società e politica – confluiva nell’intento di ricostruzione dal basso di una sinistra plurale e popolare. Quindi vorrei allertare sulla devastazione oggi in corso in questo straordinario campo di relazioni umane, aspirazioni comuni, passioni intense quanto spesso disinteressate. La stessa dimensione unitaria del Gruppo Consiliare lombardo, che ha promosso uno spazio visibile a sinistra del PD molto attento al territorio, mi ha portato a conoscere direttamente e senza filtri circoli e militanti del partito e a misurarne la peculiarità nella sinistra politica e sociale lombarda, a me nota dalla precedente esperienza in CGIL e dalla frequentazione per 25 anni delle sezioni del PCI, del PDS e dei DS. E’ a questa conoscenza che mi rifaccio quando pavento che i comportamenti che accompagnano lo svolgimento del Congresso, così convulsi negli apparati mentre una base esausta sente bisogno di mitezza, ci riconsegneranno uno spazio più intransigente e meno disposto alla coesione, percorso da divisioni irreversibili, senza nemmeno aver fatto adeguatamente i conti con la tremenda sconfitta subita . Dico da subito che nella sfida di una sinistra priva di rappresentanza parlamentare all’ondata di destra che squassa i diritti civili e sociali conquistati dalla democrazia di massa degli anni ’70, l’obiettivo per me irrinunciabile è quello finora mai smentito: avviare il processo costituente per un nuovo soggetto politico, ancorato alla società e ai luoghi di lavoro. E’ invece questo che nei fatti potrebbe essere compromesso o addirittura pregiudicato. Ripartire da sé è del tutto legittimo e merita tutto il rispetto, ma ho imparato dalla lunga esperienza in CGIL che ci sono momenti in cui l’identità è il fattore strategico ed altri in cui lo è l’unità e che occorre la fermezza di non incoraggiare l’istinto autoconservatore del gruppo dirigente, ma di interpretare il gramsciano “sentimento prevalente” che attraversa la società. Quello attuale è indubbiamente il momento della contaminazione e di una ricomposizione rigorosa a cui non bastano le categorie del passato. Invece, nei fatti, lo sguardo degli apparati sembra proiettato indietro, concentrato sommariamente sugli errori dei gruppi dirigenti e impermeabile ad un popolo che, mentre soffre della mancanza di rappresentanza qui ed ora, è messo in afona attesa dalla scelta infelice dei due tempi: prima la purificazione del partito per intraprendere il cammino della riscossa, poi una ricomposizione patteggiata delle sinistre in funzione della prossima scadenza elettorale. So che molti negano che questa sia l’intenzione di fondo, ma, al di là delle dichiarazioni, la politica ha leggi dure e non basta correggere a parole i messaggi reali che si percepiscono all’esterno e che decretano la fine di una prassi di ricostruzione dal basso e di contaminazione di esperienze e culture nel campo ampio dell’antiliberismo e sul modello locale-globale. Sono i meccanismi che si muovono nel cortocircuito tra dirigenti e militanti e che non sono inerenti alle mozioni, che possono impedire di far coesistere pluralità ed unità e che riporteranno il baricentro della nostra ricerca dalla società ai partiti, dalle masse disorientate agli apparati in lotta. Ne so qualcosa per esperienza diretta e non sono più disponibile a riconoscere che vada consegnata esclusivamente alla macina dei funzionari dell’organizzazione, strutturata per fedeltà e gerarchia, la ricerca di pratiche tanto inedite quanto indispensabili per reinsediarsi nella società.
Le stesse lettere che sono apparse su Liberazione sembrano giustificare preventivamente separazioni definitive e non concentrarsi sul cedimento strutturale verso la società, che ha riguardato le singole forze politiche e non l’improvvisato cartello di Sinistra Arcobaleno. Allora, se si decretasse l’inattuabilità comunque di un processo di convergenza precipitato nel gorgo elettorale, nello stesso modo in cui se ne era deciso l’avvio e cioè con la conferma di titolarietà assoluta da parte di RC, PcdI, Verdi , Sd, saremmo ad un fine corsa inappellabile. Confesso di sentire che qualcosa difficile da nominare, grave, ma non esattamente descrivibile e attorniato da una opaca indifferenza, sta per accadere, senza dialettica alcuna con il precipitare delle condizioni materiali della gente comune e con la scomparsa di una narrazione di sinistra, dato che le forze che sarebbero capaci di avviarla si illudono di riorganizzarsi ciascuna nei porti in cui si vanno a riparare. Occorre “disarmarci” fin che siamo in tempo. L’ennesima divisione costituirebbe una sciagura politica, sociale e etica. Nel compiacimento della borghesia, la guerra, la militarizzazione dei conflitti e il disfacimento dello stato sociale si compirebbero sotto una “grande coalizione” che ci riserverebbe solo il rammarico di osservare da fuori il declino delle istituzioni di democrazia sociale, l’arretramento del sindacato confederale e la dispersione dei movimenti. Un’osservazione impotente anche per una Rifondazione Comunista più sicura e più eguale a se stessa, che di me può fare tranquillamente a meno, ma non può privarsi delle speranze che il popolo di sinistra continua ad affidarle.