REPOSITORY

Generale

PIAZZA FONTANA 40 ANNI DOPO

Ho un ricordo vivissimo del 12 Dicembre 1969. Quando giunse la notizia in Università io e Bruna, mia moglie, prendemmo l’11 – il tram da città studi – e arrivammo al Verziere.

Da lì camminammo fino all’Arcivescovado in un’aria tesissima, resa allucinante dallo sventagliare dei lampeggianti della polizia e appesantita dal buio che era già calato con uno dei giorni più corti dell’anno. Con noi camminavano operai con la tuta e donne che venivano dal mercato che stava smontando, l’ultimo che si teneva ancora in centro città.

Arrivati in Piazza Fontana ci colpì la presenza di gruppetti di uomini di mezza età – gli stessi che organizzavano capannelli in piazza Duomo in cui attrarre i passanti incuriositi per finte discussioni che celebravano la bontà delle destre contro la sinistra– che ripetevano ad alta voce che la bomba l’avevano messa “quei bastardi che fanno casino nelle fabbriche e in università”.

Era così grande il nostro sgomento e così forte la reazione democratica che si andava organizzando, che finii per dimenticarmi di quell’episodio dei propagandisti- provocatori organizzati, per farmelo tornare alla mente invece quando cominciò a partire l’attacco a Valpreda e agli anarchici e quando fu più chiara l’intenzione reazionaria di quella strage.

Quando salimmo sul bordo della fontana per guardare lo squarcio dell’esplosione, ci prese angoscia: c’era sangue che si vedeva attraverso i caschi della polizia e un enorme buco nel pavimento che sembrava attrarre come in un vortice le nostre speranze di cambiamento, allora intensissime.

Nell’Italia che non riesce ad aggredire i suoi misteri, (mafia, colpi distato, logge massoniche, terrorismi), quello è il momento in cui il nostro Paese, consapevolmente o meno, ha perso l’innocenza. Da quella data sono passati 40 anni, nei quali la nostra Repubblica, la nostra società non sono riuscite a fare piena luce su quanto è avvenuto, sulla partita che si stava giocando. Molti lo hanno capito forse, ma tanti altri no.

Come vorrei poter riflettere di quello che eravamo e di quello che siamo con le giovani generazioni che di Piazza Fontana e della stagione delle stragi non hanno probabilmente nemmeno sentito parlare e che sono invece travolte da un immaginario così invadente da far vivere tutto in un presente senza memoria, incurante di come tocchi a tutti noi costruire quotidianamente, con le nostre mani, con i nostri cuori, con le nostre menti un futuro che ci vogliono strappare dalle mani.

Questo 12 Dicembre sarò a Copenhagen per la marcia sul clima: nella conferenza a cui partecipo e che riguarda il domani e il dopodomani del pianeta, comincerò parlando proprio di Piazza Fontana quaranta anni fà.