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Processo di ridefinizione dello stato sociale in Lombardia

Mario Agostinelli*

Penso che in Lombardia sia in corso un formidabile processo di ridefinizione dello stato sociale, del rapporto pubblico-privato e del sistema democratico-partecipativo, che verrà presto suggellato a colpi di maggioranza nel nuovo Statuto Regionale. Con un disegno insidioso: fare del sistema lombardo il punto di riferimento “bipartisan” per la politica nazionale anche nel caso di una vittoria del Centrosinistra nel 2006, allorquando, per correggere i guasti delle incursioni federaliste e devoluzioniste nella nostra Costituzione, si cercheranno soluzioni di compromesso comunque arretrate rispetto al dettato originale.

Proprio perché l’ipotesi è tutt’altro che peregrina e trova qualche ascolto nell’area del “riformismo”  e del “terzismo” milanese, provo a soffermarmi sulle trasformazioni più inquietanti che il presidente Formigoni porta avanti da oltre dieci anni e che si ritrovano nel Piano regionale di sviluppo 2005-2010 presentato di recente.

Le tre parole ricorrenti in tutti i capitoli – sussidiarietà, partenariato, libertà di scelta – sono il fulcro della ridefinizione di un rapporto con i cittadini che salta di netto l’universalità e l’esigibilità dei diritti sociali, la centralità del mondo del lavoro, il confronto con le rappresentanze politiche e sociali. Il lavoro, la crisi occupazionale, il declino produttivo della Lombardia, non vengono nemmeno più presi in considerazione. Il privato si fa pubblico e lo sostituisce attraverso accreditamenti clientelari e trasferimenti di risorse ai singoli fruitori di servizi; sparisce il sindacato, confuso tra mille “partner” soltanto da consultare; la salute, l’educazione, la ricerca sono messi sul mercato.

Il concetto chiave è quello della sussidiarietà orizzontale, propugnato perfino per la competitività industriale e per la tutela dell’ambiente: una regola ideologica con poteri catartici ma, tutto sommato, ridotta a mero strumento giuridico per deresponsabilizzare il pubblico, il soggetto a cui la collettività assegnava, attraverso l’imposizione fiscale, il compito di garantire per via politica i diritti, evitando l’intermediazione del mercato.

Il partenariato, tanto declamato a destra come a sinistra,  da accordo preventivo e non obbligatorio tra le parti assurge al ruolo di strumento istituzionale mentre deperiscono le competenze del Consiglio regionale e delle sue Commissioni, ridotti a registratori passivi delle scelte della maggioranza. In questo senso, il partenariato è l’icona dell’affossamento della politica rappresentativa-partecipativa e del rifiuto di considerare il sindacato portatore di interessi in conflitto con quelli dei governanti.

La sussidiarietà diventa qui incredibilmente motore di competitività. Il pubblico si riduce ad accompagnare la transizione di tutto il sistema economico. Rinuncia al suo ruolo storico di intermediazione degli interessi particolari, alla sua predilezione per il diritto del lavoro e, di conseguenza, smette di definire gli indirizzi e gli orizzonti generali a cui piegare l’iniziativa economico-finanziaria del soggetto privato. È il sistema economico nel suo complesso a determinare i beni e i servizi da produrre per il mercato. Il pubblico può, al massimo, rimuovere i  vincoli di natura tecnica che impediscono il dispiegarsi della concorrenza.

Di conseguenza, l’effetto principale della politica della giunta Formigoni non è tanto e solo la privatizzazione, come da anni ripetiamo. E’ la parificazione giuridica tra privato e pubblico, con conseguenze pericolose nella erogazione dei beni di diritto (i beni comuni spariscono!) e sulla finanza pubblica regionale, già provata dal debito pregresso della Lombardia che, nonostante i marchingegni contabili utilizzati per mascherarlo, cresce a dismisura in ragione delle politiche adottate.

Come può un modello così lontano dalla solidarietà e dall’eguaglianza essere attrattivo per i cittadini  e per i lavoratori lombardi?

Finora la ricchezza della Lombardia ha fatto velo alla verità. E una buona dose di ideologia ha sostenuto il progetto di Formigoni-Compagnia delle Opere, propugnando il binomio persona-comunità come antidoto alla crisi del patto sociale fordista.

Oggi i margini di confusione e di mistificazione si stanno impressionantemente riducendo. La convergenza tra Forza Italia e Lega sul primato dell’impresa a danno del lavoro  e sulle privatizzazioni a danno della solidarietà è ormai alla frutta: il sistema lombardo divora risorse pubbliche e non è più in grado di ricostruire sufficienti spazi redistributivi per accontentare le clientele tra loro in competizione. Le privatizzazioni del centrodestra costano sempre di più e divorano le risorse statali per i servizi sociali che la Finanziaria di Berlusconi ha tagliato per il 2006. Per questo Formigoni è ormai legato a doppia mandata alla Lega. A questa giunta, per finanziare questa sanità, non basta più nemmeno prelevare il 12% in più dalle famiglie, come è avvenuto negli ultimi 10 anni. E’ d’obbligo appoggiare senza riserve la “devolution” bossiana per trattenere qui i 3,7 miliardi di euro versati dalla Lombardia nel fondo perequativo nazionale. Il “riformismo” di Formigoni è così già finito: in conflitto con la Lega sulle poltrone di Asl e ospedali, a bracetto con lei sulle riforme costituzionali pur di fare cassa.

Allora è decisivo far leva sulla società, sui lavoratori, sui giovani precarizzati e privati di futuro, sul bisogno e l’opportunità di inclusione di oltre 600.000 immigrati. Dobbiamo ridare voce a quanti in Lombardia vogliono abitare, vivere, costruire un rapporto partecipato negli spazi pubblici da riconquistare. Dobbiamo approfondire tra la gente il cuneo della crisi (il cosiddetto «caso Cè») aperta e frettolosamente chiusa fuori dall’aula del Consiglio.

Al Pirellone siamo impegnati in questo sforzo.

Bisogna però che la sinistra faccia un caso nazionale della deriva liberista lombarda e rifletta sull’effetto regressivo a tutto campo di una possibile vittoria del modello che qui ho cercato di illustrare. Un esito disastroso soprattutto se la Lombardia diventasse, nel balbettio e nel disinteresse delle opposizioni, un paradigma nazionale su cui si ricostruisce quel centro politico che Rossana Rossanda teme di veder crescere nella flebilità delle risposte della sinistra politica.

*Capogruppo Prc Regione Lombardia