L’emblematica vicenda dell’Alfa di Arese
L’Alfa, l’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, l’orgogliosa casa automobilistica milanese che aveva fatto dell’eccellenza del prodotto e dei lavoratori la sua vera forza, alla fine degli anni ’90 aveva cambiato pelle. La crisi dell’auto, il bene di massa con il quale si identificava, l’aveva messa in ginocchio. E l’arrivo della Fiat, che aveva caratterizzato il suo ingresso in azienda con il sequestro a mensa dei mazzi di carte con cui si socializzava durante la pausa, aveva solo contribuito a inasprire i rapporti. Ma non era riuscita ad arrestarne il declino. Ne erano bastati i 1600 miliardi di finanziamento pubblico a risolvere il problema.
È partita da questa situazione difficile l’idea di riconvertire l’Alfa di Arese e di trasformare il vecchio stabilimento in un “Polo di mobilità sostenibile”. Il progetto, ideato dall’Enea sotto la supervisione di Carlo Rubbia, era coordinato da Mario Agostinelli. Per due anni un gruppo di 36 ricercatori ha lavorato per fornire alla Giunta Regionale una soluzione documentata e credibile per il reinsediamento di 7000 posti di lavoro nei settori della green economy. Dice Mario Agostinelli: «Non era un sogno ma un’analisi condivisa da imprese e centri di ricerca disponibili a costruire quel Polo della mobilità sostenibile che aveva convinto nel 1997 una enorme assemblea sindacale di 4500 operai e tecnici a cambiare passo rispetto alla difesa passiva del prodotto auto individuale già allora in difficoltà». L’area di Arese sarebbe insomma diventata «l’epicentro di un progetto che si proponeva la costituzione di un distretto innovativo» per il settore della progettazione.
Ma sarebbero state reintrodotte anche «attività manifatturiere collegate alla possibilità di riduzione dei volumi di traffico, alla riorganizzazione della logistica delle merci, alla produzione di veicoli a basso impatto ambientale alimentati da idrogeno ed elettricità ottenuti da fonti rinnovabili e inizialmente favoriti nella loro diffusione da una politica pubblica delle amministrazioni in stretto rapporto con i loro cittadini e, infine, sostenuta dalla diffusione delle strutture adeguate al loro successo».
Ma alla fine Formigoni e Fiat si sono tirati indietro e hanno preferito trasformare l’area Alfa di Arese in un orribile spezzatino da vendere ai soliti noti. Conclude Agostinelli: «Il master plan di Infrastrutture Spa (una società che ha ricevuto dalla regione per questa esercitazione sulla carta di un paio di mesi 20 volte la cifra stanziata per il Piano dell’Enea elaborato in due anni) coniuga la parola sostenibilità in chiave opposta a quella indicata dai lavoratori di Arese: si tratta banalmente di “gradevolezza del sito”, come contorno allo sviluppo commerciale e residenziale».